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<title>Arte.it Notizie</title> | |
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<title>Ai Weiwei a Roma: antico e contemporaneo a confronto tra vetro, Lego, ceramica</title> | |
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<description><![CDATA[<div><img src="http://www.arte.it/foto/1280x800/c0/127791-3_2_.jpg" /></div>“Ho sentito parlare per la prima volta dell’antica Roma quando avevo dieci anni, nel 1967 quando mio padre, poeta rivoluzionario, condannato ai lavori forzati, puliva i bagni pubblici rurali e, al tempo stesso, scriveva dietro gli scontrini, raccontandomi dell’antico circo romano, del sangue, degli imperatori. Questa mostra è un omaggio a lui”. Il monumentale omaggio di Ai Weiwei al poeta Ai Qing e alla città eterna prende forma all’interno del complesso termale più grande dell’antichità, le Terme di Diocleziano, dove, fino al prossimo 3 aprile il lampadario con oltre duemila pezzi di vetro soffiato, fuso nei laboratori dello Studio Berengo di Murano ammicca a un mosaico del III secolo d.C che raffigura uno scheletro disteso su una sorta di triclinio e il motto in greco antico dell’oracolo di Delfi. “Gnothi sautòn”, 'Conosci te stesso'. Evoca i larvae conviviales, modelli di scheletri snodabili che i patrizi romani esponevano sulle tavole durante i banchetti, come memento mori, per ricordare la brevità della vita terrena, ma soprattutto per stupire i partecipanti con pietanze ricercate. Alla maniera del mondo antico, anche La Commedia Umana, questo il titolo dell’opera del maestro cinese, unisce festa e lutto, dramma e quotidianità, tragedia e ironia, come sottolinea lo stesso artista. “Il lampadario è un oggetto glamour che si espone in casa, per esempio un salotto. È il mio bisogno di includere la morte nella nostra quotidianità, di connettere un oggetto di interior design a quello che succede fuori dalla casa, nel mondo”. Ai Weiwei, La Commedia Umana | Courtesy Museo Nazionale RomanoCome in una macabra danza che incombe sulla testa dei visitatori esorcizzando la morte, una cascata di ossa, teschi e organi di vetro nero, dove trovano posto cuori, granchi, pipistrelli, telecamere, e persino gli uccellini di Twitter - tutte allusioni ai lavori precedenti dell’artista sulla sorveglianza e la tecnologia - compone un manifesto che “tenta di parlare della morte per celebrare la vita”. La leggera consistenza delle forme in vetro, che l’artista carica di espressività, sposa il tema della morte. L’opera riproduce attraverso il vetro il contenuto di un corpo quando, liberato dalla pelle, viene messo a nudo e le viscere esposte alla vista. Un messaggio chiaro, quello di Ai Weiwei, la cui ideazione artistica e attività politica sono inscindibili, e che risuona anche come un ammonimento a pensare al futuro e a prodigarsi perché rimanga qualcosa di più oltre le ossa. Attraverso la mostra prodotta e organizzata dal Museo Nazionale Romano e Berengo Studio con la Fondazione Berengo, e la collaborazione della Galleria Continua, l’arte contemporanea espugna uno dei luoghi simbolo della Roma antica per aprire un dialogo che, a quanto pare, sarà il primo di un lunga serie. Al Teatro dell'Opera la Turandot di Ai WeiweiIl dialogo tra Ai Weiwei e Roma continua a pochi metri dalle Terme dioclezianee, precisamente al teatro dell’Opera, dove il poliedrico maestro cinese, da vecchia comparsa nella Turandot di Zeffirelli al Metropolitan di New York, 35 anni fa, si fa regista del dramma lirico di Giacomo Puccini, secondo il suo personalissimo punto di vista, declinato alla luce della pandemia e della guerra in Ucraina. Rinviata di due anni, la versione dell’artistar, noto per il suo attivismo politico e per l’opposizione al regime cinese, si carica di una particolare valenza emotiva anche grazie alla presenza di tre protagonisti ucraini, la direttrice d'orchestra Oksana Lyniv, il soprano Oksana Dyka e il baritono Andrii Ganchuk. Ai Weiwei, La Commedia Umana | Courtesy Museo Nazionale RomanoAlla Galleria Continua Ai Weiwei a confronto con la ceramicaDalla leggerezza del vetro alla lucentezza della ceramica, la più alta espressione di arte cinese alla quale Ai Weiwei affida una critica - a volte nascosta, a tratti più gridata - del sistema politico. Restiamo a Roma, ma ci spostiamo al The St Regis Hotel, sede romana della Galleria Continua. Questa volta l’artista si confronta con la tradizione e la millenaria cultura cinese con un rispetto deferente, accompagnato da un’incredibile capacità di proiettarsi nella modernità. Fino al 22 maggio la mostra Change of Perspective interpreta i motivi, le immagini, le metafore, i processi di fabbricazione e i materiali tradizionali in modo ludico e iconoclasta. Dall’esperienza diretta di Ai Weiwei con le maestranze del distretto di Jingdezhen - punta di diamante della Cina nella lavorazione di questo materiale prima della rivoluzione industriale - nascono opere come Wave Plate in cui il motivo dell’onda che si sviluppa fino a culminare in un vortice è un omaggio alla dinastia Yuan dove l’acqua è un tema ricorrente. Set of Spouts, una scultura realizzata con beccucci di teiere rotte, allude al percorso del vapore che attraversa i beccucci per trasferire il suo calore all’esterno diffondendo conforto e consolazione. Anche se, la parola ‘spouts’ (in senso figurato ‘sputare’) evoca la storia di Ai Weiwei come dissidente politico, ‘che sputa opinioni inaccettabili’. Ai Weiwei, Blue-and-White Porcelain Vases, 2017, porcellana | Courtesy Galleria ContinuaAd alcuni celebri dissenti politici del passato - Dante, Filippo Strozzi, Girolamo Savonarola, Galileo Galilei - Ai Weiwei dedica i ritratti realizzati con la tecnica del mosaico, utilizzando quasi diecimila mattoncini Lego multicolore. Attraverso questo mezzo di comunicazione, che l’artista definisce ‘democratico’ perché tutti lo conoscono e lo possono usare, i volti dei personaggi assumono il carattere ludico e giocoso della Pop Art. Non andate via senza aver fatto un salto nella Hall del St Regis che accoglie un tributo alla potenza della natura, una riflessione sul ruolo dell’umanità nel fragile e mutevole equilibrio naturale. Palace - un insieme di radici rare, alcune più che millenarie, assemblate tra loro - nasce dalla collaborazione tra l'artista e gli artigiani di Trancoso, in Brasile, insieme ai quali ha individuato le radici e i tronchi di un albero in via di estinzione per dare vita a una scultura audace e ricca di fascino.Ai Weiwei, Change of Perspective, alla Galleria Continua fino al 22 maggio | Foto: Samantha De Martin per ARTE.it Leggi anche:• Ai Weiwei a Roma tra arte e teatro: in arrivo La Commedia Umana e la Turandot]]></description> | |
<pubDate>Fri, 25 Mar 2022 20:09:19 +0100</pubDate> | |
<category>Arte</category> | |
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<title>Tintoretto. L'artista che uccise la pittura - La nostra recensione</title> | |
<link>http://www.arte.it/notizie/italia/tintoretto-l-artista-che-uccise-la-pittura-la-nostra-recensione-19241</link> | |
<description><![CDATA[<div><img src="http://www.arte.it/foto/1280x800/3a/127777-Tintoretto_90_3_0_00_01_16_03_Still002.jpg" /></div>“Minuto di corpo, granello di pepere, giovane di nascita, ma anziano per ragionamento”. Così Andrea Calmo, bografo e attore contemporaneo di Tintoretto, descriveva il furente maestro del pennello. Spirito irrequieto, capace di sbalordire i committenti con trovate sorprendenti, anche grazie alla rapidità di esecuzione delle opere, Jacopo Robusti contava ammiratori anche nella cerchia dei grandi maestri, soprattutto per via delle innovazioni tecniche e di quella pittura che hanno esercitato un’influenza profonda e costante sulla storia dell’arte, da Peter Paul Rubens e El Greco fino a Max Beckmann per arrivare, in tempi più recenti, a Jackson Pollock. “La sua opera è immensa, include ogni cosa, dalla natura morta fino a Dio, è un enorme arca di Noè, io mi sarei trasferito a Venezia soltanto per lui!” scriveva un estasiato Paul Cézanne che vedeva il collega veneziano come l’idolo della pittura. E infatti, alla maniera di un virtuoso regista o di un direttore d’orchestra che aggancia lo spettatore con l’audacia magnetica delle sue pennellate, Tintoretto ci avvinghia a sé con la complessità delle storie raccontate nei suoi quadri giganteschi, attraverso strategie che oggi definiremmo da marketing. A raccontare il modo, facendo giungere a noi moderni l’attualità della rivoluzione compiuta sulla tela dal grande artefice del Rinascimento italiano, a singolar tenzone con la tradizione per sostituire il colore con pose dinamiche e scene drammatiche, arriva sul grande schermo Tintoretto. L'artista che uccise la pittura. Il documentario diretto da Erminio Perocco, prodotto da Kublai Film, Gebruder Beetz, Videe Spa, Zeta Group, Arte/ZDF e distribuito da Kublai Film, al cinema l’11-12 e 13 aprile, ci conduce alle radici della rivoluzione del maestro nei cui lavori le pose drammatiche, le scene dinamiche, la resa plastica prendono il posto della mera narrazione facendo del Robusti un autentico regista della pittura. Con affascinanti tableux vivant il documentario traduce la pittura di Tintoretto, la forza espressiva del movimento dei corpi, in azione scenica.Frame da Tintoretto. L'artista che uccise la pittura, al cinema l'11, 12 e 13 aprile “La pittura mi resisteva, l’ho uccisa” confessa Tintoretto. E Perocco lo racconta consegnandoci il ritratto di un artista fantasioso e moderno che osò sfidare Michelangelo e Tiziano trasformando la tela in un compendio di pittura, scultura, anatomia, architettura, sfaldando per primo la pennellata, ricorrendo al non finito, imponendo prospettive diverse all’interno di uno stesso quadro, soluzioni inattese e audaci che diedero vita a narrazioni complesse e magnetiche. In una Venezia silenziosa e assorta, colorata dai preziosi pigmenti che giungevano nella Serenissima e dei quali Jacopo, figlio di un tintore, sapeva servirsi con straordinaria maestria, scivoliamo tra i canali rinfrancati dall’acqua per essere assorbiti dall’energia dell’allestimento scenico dei grandi capolavori dell’orgoglioso veneziano. Nel 1509 un’alleanza internazionale capeggiata dal Papa, dal re di Francia e dall’imperatore del Sacro Romano Impero si coagula unicamente contro la Repubblica di Venezia. Le armate della Lega penetrano nello stato veneziano e riescono a conquistare velocemente tutto il dominio di terraferma. Non molti anni più tardi, in una città che si riprende dalle ferite dello scontro, mentre le galere riprendono le rotte verso l’Oriente, le Fiandre, il mare del Nord, nascerà Tintoretto. Affiancati dal racconto limpido di artisti, curatori, docenti, entriamo nella Scuola Grande di San Rocco per ammirare il Battesimo di Cristo, raggiungiamo Londra per conoscere Tintoretto da giovane attraverso l’Autoritratto come giovane uomo, per poi puntare alla Basilica di San Giorgio Maggiore, pronti a lasciarci travolgere dall’energia scenica che si propaga da L’ultima cena, una scena ambientata in un’osteria popolare, al tempo dell’artista. Qui la posa complessa dei personaggi è carica di umanità.Frame da Tintoretto. L'artista che uccise la pittura, al cinema l'11, 12 e 13 aprile Il viaggio in quest’opera di estirpazione, da parte dei Tintoretto, della pittura del suo tempo, a vantaggio di un modo di operare nuovo, che comunque non smette di guardare ai grandi, come ai disegni di Michelangelo, per realizzare qualcosa di mai visto e altamente sorprendente, continua nel documentario tra le sale delle Galleria dell’Accademia, al cospetto del Miracolo dello schiavo, realizzato da Tintoretto per la Scuola Grande di San Marco. Il regista ci introduce a questa rivoluzione in punta di piedi, attraverso lavori come L’Assunzione della Vergine, capolavoro della Chiesa dei Gesuiti, che esplode nel grandioso ciclo di teleri della Scuola Grande di San Rocco che narrano le ultime vicende della vita del santo. Il documentario evidenzia bene come proprio qui Tintoretto abbandoni la dimensione pittorica per lasciare il posto a una componente plastica, emozionale, di movimento, che avrà uno dei migliori esiti nella Crocifissione del 1595 dove è evidente l’arte quasi cinematografica del maestro.Raggiungiamo idealmente il Prado dove Il ratto di Elena ci presenta un tocco più moderno, figurativo. Ed ecco I Tarquini e Lucreezia, Susanna e i vecchioni, e ancora l’Ultima cena di San Trovaso, protagonisti di un crescendo pittorico e poetico di grande fascino. Uno dei punti di forza del documentario è quello di costruire un racconto coerente e compiuto dal punto di vista artistico e storico, che spazia da Cézanne a Emilio Vedova, ma anche dalla Venezia prima di Tintoretto al prestigioso centro editoriale che è la città al tempo del pittore, grande lettore delle prime bibbie tradotte in volgare. Sarà l’Autoritratto del Louvre del 1588 a chiudere questa puntuale carrellata sull’uomo e sul genio. Un Jacopo Robusti quasi settantenne, di profilo frontale con capelli e barba grigio-chiaro, l’espressione profonda, chiude il documentario tra le acque di Venezia, la città che ha dato spunto a volti, palazzi e riflessi, traghettando il maestro verso la gloria.Frame da Tintoretto. L'artista che uccise la pittura, al cinema l'11, 12 e 13 aprile]]></description> | |
<pubDate>Fri, 25 Mar 2022 17:55:47 +0100</pubDate> | |
<category>Arte</category> | |
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<title>Le fotografie di Elisa Sighicelli rianimano i depositi della GAM di Milano</title> | |
<link>http://www.arte.it/notizie/milano/le-fotografie-di-elisa-sighicelli-rianimano-i-depositi-della-gam-di-milano-19239</link> | |
<description><![CDATA[<div><img src="http://www.arte.it/foto/1280x800/ff/127763-untitled_9512_cm78_7x59.jpg" /></div>A pochi giorni dall’inaugurazione della Milano Art Week, visitiamo la mostra “As Above, So Below” allestita alla GAM di Milano con fotografie di Elisa Sighicelli e curata da Paola Zatti, conservatore responsabile della GAM. L’esposizione, frutto della collaborazione tra il museo di arte moderna e l'artista torinese, fotografa e scultrice contemporanea, sarà aperta al pubblico dal 29 marzo al 3 luglio. E’ un’iniziativa potente e distintiva che infonde nuova linfa vitale agli ambienti del museo. “E’ un intervento di arte contemporanea molto particolare che ha un forte legame con l’arte moderna e con il tema del ‘museo’ sul quale vale la pena riflettere” afferma Paola Zatti. “Attraverso lo sguardo di un’artista contemporanea il museo prende vita e diventa un luogo che si mette in discussione”. Elisa Sighicelli è scesa nei depositi e il suo sguardo ha animato un mondo nascosto, abitato da figure di donne e uomini di ogni foggia, gesso, bronzo, marmo, sculture che hanno resistito al tempo e alla storia, sopravvissute intere o a pezzi, che sembrano vivere una vita nuova, segreta mai conosciuta. “L’artista ha la grande capacità di aiutarti a metterti in discussione perché ti invita a guardati in maniera differente da come sei abituato a fare” continua Paola Zatti.Elisa Sighicelli, ritratto Elisa Sighicelli che è un’artista di origini torinesi che in questi anni ha ottenuto vari riconoscimenti in Italia e all’estero, soprattutto negli Stati Uniti e in Inghilterra dove ha studiato scultura e ha avuto lo studio per molti anni a Londra. Ha fatto vari lavori sulla reinterpretazione della scultura, trasportando l’immagine fotografica su diversi supporti e diversi formati. E’ stata chiamata da Paola Zatti per lavorare sui i depositi della GAM che si trovano nei sotterranei di Villa Reale in via Palestro. Sono ambienti molto suggestivi perché sono le vecchie cucine della Villa settecentesca, spazi di servizio con ancora le tracce della vita dell’edificio allora fresco di costruzione. Da dove nasce l’idea di una mostra legata ai depositi? “La mostra è nata come ideale prosecuzione di un progetto che avevamo realizzato 5 anni fa. All’epoca avevamo restaurato 100 sculture conservate nei depositi e le avevamo esposte nella mostra ‘Sottosopra’ dedicata a 100 anni di storia della scultura che documentava la supremazia della scuola scultorea milanese tra ‘800 e ‘900 rispetto agli altri centri artistici italiani.” Negli anni successivi è stato intrapreso un intervento di restauro degli spazi che ospitano i depositi e di risistemazione degli ambienti secondo criteri conservativi. A breve i lavori saranno completati con la realizzazione delle armadiature nuove e l’installazione di contenitori differenti per le opere che avranno una disposizione completamente diversa rispetto a quella attuale. Ma perché portare l’arte contemporanea nei depositi? “Mi è venuto in mente che si poteva sfruttare il deposito per le sue ampie e articolate potenzialità, non soltanto come luogo di conservazione, studio, manutenzione delle opere ma parte viva, anzi cuore del museo anche se spesso spazio non visibile né visitabile. Volevo usare tutta la sua suggestività. Secondo me questo aspetto doveva essere colto da un’artista e tradotto in un’opera d’arte.” Paola Zatti, ritratto Come hai lavorato insieme a Elisa Sighicelli? “Per un anno abbiamo lavorato nei depositi e riflettuto sul fatto che le opere così come erano disposte si prestavano a vari sguardi, a varie interpretazione. Elisa ha usato la macchina fotografica che è il mezzo che usa normalmente per il suo lavoro, e ha colto dei momenti della vita del deposito suggerendo implicitamente dei dialoghi o comunque dei fili sottili che tengono uniti i lavori. Il suo sguardo ha colto anche degli aspetti ironici. Sono istanti che scompariranno perché presto le opere saranno disposte diversamente. E' un mondo che abbiamo vissuto per anni lì sotto e che non ci sarà più. Però un’artista ci lascia delle opere. Ci lascia molto di più di una campagna fotografica che avremmo potuto scattare anche noi con un semplice cellulare. La mostra documenta il mondo dei depositi attraverso una quarantina di immagini che Elisa ha riprodotto in vari formati più o meno grandi selezionando insieme a me alcuni dei numerosissime scene che lei ha colto. Ha realizzato delle stampe su carta di cotone che hanno una resa molto materica, quasi pittorica. E quindi ti consentono anche uno sguardo sulla tridimensionalità, ti riportano alla scultura nella sua materia in maniera molto esplicita ed evidente.” Hai mai pensato a un progetto specifico per i depositi della GAM? “A me piacerebbe molto poter un giorno rendere visitabili i depositi, aprirli al pubblico e di farli diventare un nuovo pezzo del museo. E' un tema sul quale si discute molto a livello nazionale e internazionale dopo che tanti musei hanno puntato molto sull’apertura di sedi museali nuove dedicate ai loro depositi. L’ultimo a Rotterdam, con un’operazione meravigliosa (ndr il Depot Boijmans Van Beuningen è il primo deposito d’arte aperto al mondo). Numerosi musei, da San Pietroburgo agli Stati Uniti, hanno reso visibili parte delle loro opere in deposito. Trovo che sia un’operazione non solo intelligente, ma anche definitiva: mette un punto anche su tanti discorsi che facciamo sulla possibilità di vendere opere custodite nei depositi. A parte il fatto che il nostro patrimonio è inalienabile, ma lo è perché ha qualcosa da dire e secondo me il modo migliore per tutelarlo è esporlo. Mi sento di concordare pienamente con la linea che è portata avanti anche dal Ministero. L’operazione a cui penso vorrebbe inserirsi nel solco di tutela dell’ambiente di deposito e di valorizzazione di questa parte essenziale del museo e anche del nostro lavoro. Perché in definitiva in deposito ci passiamo tanto tempo e riserva sempre nuove sorprese.” Quando si mette mano ai depositi si finisce per cancellare la patina del tempo e inevitabilmente perdono tutto il loro fascino … “Quando ero a San Pietroburgo a lavorare per un breve periodo all’Ermitage ho avuto la possibilità di accedere ai depositi delle cornici del museo. Mi è sembrato di entrare in un altro mondo: la guardiola del deposito aveva ancora le fotografie di Lenin appese alle pareti e la radio a transistor accesa. E questa immensa quantità di cornici - non vedrò mai più niente di simile nella mia vita-, cornici di tutti i tempi e di tutte le fogge, era davvero incredibile. Sulla patina del tempo, bisognerebbe fare dei ragionamenti. La mostra se li è posti. Per esempio c’è una sala del percorso espositivo che ragiona esattamente su questo argomento. Abbiamo esposto una scultura che è il gesso preparatorio dell’Ignara Mali (la cui versione in marmo è al piano di sopra) restaurata a metà. Proprio per far capire come una parte è pulita e l’altra invece ha ancora i segni del tempo, i segni della polvere. E’ un argomento su cui Elisa ha riflettuto a lungo e come vedi lo ha rievocato in questa serie di stampe positivo/negativo di una fotografia: è un gioco che si ricollega alla patina che prima esisteva e che poi non esiste più. Io credo che le opere vadano restaurate e tutelate. Questa mostra voleva proprio documentare un mondo che altrimenti si sarebbe perso. Farlo realizzando delle opere d’arte che rimarranno, secondo me è molto bello. Il patrimonio conservato nei depositi della GAM è talmente ingente, perché sono quasi 800 le sculture che abbiamo là sotto, che quello che noi vorremmo fare è di tenere visibile una parte del laboratorio in modo tale da far veder un ambiente che è sempre un po’ in fieri.” I depositi potrebbero essere anche luogo di studio e di ricerca…. “Cinque anni fa abbiamo realizzato un'operazione che si chiamava “Sotto sopra” perché portavamo le opere da sotto a sopra. In quell’occasione abbiamo coinvolto la Civica Scuola di Cinema Luchino Visconti di Milano che ha realizzato un documentario proprio sulla vita di queste opere, il loro restauro e la movimentazione. Sul patrimonio dell’Accademia di Brera che noi abbiamo in deposito, spesso si esercitano allievi dell’Accademia che ospitiamo. Con l’Università realizziamo dei laboratori di catalogazione, facciamo esercitare gli studenti sulla catalogazione delle opere in deposito che molto spesso sono opere ignote, non studiate, semplicemente inventariate.” Paola Zatti si sofferma davanti a una delle immagini di Elisa Sighicelli con un Mussolini sullo sfondo e con un dettaglio notevole nell’angolo in basso: Dante. “Nella lettura che puoi dare a questa fotografia è che infondo la nostra cultura è rimasta questa… ” afferma indicando il Sommo Poeta. Elisa Sighicelli, Untitled (9426), 2021 “In questo caso c’è la purezza del marmo candido e perfetto accanto a una figura maschile sgangherata. L’integrità di una donna e una figura maschile molto scassata con una gamba rotta”.Elisa Sighicelli, Untitled (9573), 2021“Questa fotografia ritrae una figura femminile levigata con il cartellino ancora sugli occhi . E’ la fusione in bronzo di una scultura di Vincenzo Gemito e accanto ad essa una scultura scapigliata con una resa molto irregolare. Un abbinamento a contrasto…”. Elisa Sighicelli, Untitled (9512), 2021 Fotografie che sembrano i fotogrammi di un film immaginario che racconta una storia silenziosa e forte, aperta a libera spiegazione e interpretata da attori consumati. Da non perdere.]]></description> | |
<pubDate>Fri, 25 Mar 2022 12:08:07 +0100</pubDate> | |
<category>Arte</category> | |
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<title>Da Bellini a Caravaggio, ecco i tesori di Palazzo degli Alberti</title> | |
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<description><![CDATA[<div><img src="http://www.arte.it/foto/1280x800/e4/127733-Galleria_di_Palazzo_degli_Alberti_di_Prato_ph_A_Quattrone_A4NE3752.jpg" /></div>I dipinti di Filippo Lippi, Giovanni Bellini, Agnolo Bronzino, Caravaggio, ma anche le sculture ottocentesche di Lorenzo Bartolini, la Belle Époque di Vittorio Corcos, il Novecento di Ardengo Soffici e Galileo Chini: si presenta ricca di sorprese preziose la nuova Galleria di Palazzo degli Alberti a Prato, restaurata e riallestita in tre anni da Intesa Sanpaolo nell’ambito del Progetto Cultura, in collaborazione con Banca Popolare di Vicenza, attuale proprietaria dell’edificio duecentesco che un tempo ospitava la Cassa di Risparmio di Prato. Saranno 90 le opere in mostra da domani in Galleria, alle quali si aggiungono 52 pezzi custoditi nei nuovi depositi. Vista tutta insieme, la collezione appartenuta a Cariprato riflette la gloriosa storia dell’arte del territorio con alcuni innesti di pregio. Il Cristo crocifisso nel cimitero ebraico di Bellini, per esempio, oltre a rappresentare un autentico capolavoro, documenta la circolazione della pittura veneta da queste parti fin dal XVII secolo, quando la presenza del dipinto è accertata a Palazzo Niccolini da Camugliano di Firenze.Galleria di Palazzo degli Alberti, Prato. Foto A. Quattrone L’Incoronazione di spine di Caravaggio, invece, è una parente stretta dell’omonimo dipinto conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna. Creduta per molto tempo una copia antica, fu ricondotta direttamente alla mano del maestro nel 1974, quando il primo restauro moderno la liberò da strati di vernice posticcia rendendo finalmente leggibili le sue qualità artistiche. Profondamente radicata nel territorio è invece la Madonna col Bambino di Filippo Lippi, a Prato per dipingere lo splendido ciclo affrescato della Cattedrale: nella piccola tavola rintracciamo la monumentalità di Masaccio, la gestualità di Donatello, gli spazi di Brunelleschi, in un compendio della cultura figurativa del Rinascimento toscano. Caravaggio (Michelangelo Merisi) (Milano, 1571 - Porto Ercole, 1610), Coronazione di Spine, 1602-1603. Olio su tela, 178 x 125 cm. Banca Popolare di Vicenza S.p.A. in L.C.A. Prato, Galleria di Palazzo degli AlbertiCurato da Lia Brunori della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per Firenze, Pistoia e Prato, l’itinerario espositivo di Palazzo degli Alberti si apre con due tabernacoli affrescati dell’inizio del Quattrocento per andare avanti in un suggestivo viaggio attraverso il tempo. Tra le tappe da non perdere, una ricca sezione dedicata alla pittura seicentesca sacra e profana, all’interno della quale è possibile distinguere un interessante filone legato al femminile, da Sofonisba a Maddalena, da Giunone a Isabella d’Este. Galleria di Palazzo degli Alberti, Prato. Foto A. QuattroneE sono in prevalenza donne anche le protagoniste dei marmi di Lorenzo Bartolini, scultore pratese molto amato nell’Ottocento per l’innovativo equilibrio tra naturalezza, perfezione formale ed espressione di valori morali che emana dalle sue opere. A Palazzo degli Alberti troveremo i busti di Elisa Baciocchi e Maria Luisa d’Austria, rispettivamente sorella e consorte di Napoleone, ma anche la levigata Ninfa dello scorpione, versione ridotta dell’importante scultura conservata al Louvre, nonché il Busto di Paride, una copia da Canova che testimonia il dialogo artistico di Bartolini con il maestro di Possagno. Lorenzo Bartolini (Savignano di Prato, 1777 - Firenze, 1850), Ninfa dello scorpione, 1844-1850. Marmo scolpito, 53 x 71 x 42 cm. Banca Popolare di Vicenza S.p.A. in L.C.A. Prato, Galleria di Palazzo degli AlbertiLeggi anche: • A Torino e a Napoli inaugurano a maggio due nuovi musei di Intesa Sanpaolo]]></description> | |
<pubDate>Thu, 24 Mar 2022 18:16:09 +0100</pubDate> | |
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<title>Viaggio, racconto, memoria: Ferdinando Scianna a Palazzo Reale</title> | |
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<description><![CDATA[<div><img src="http://www.arte.it/foto/1280x800/c3/127707-05.jpg" /></div>“Io guardo in bianco e nero, penso in bianco e nero. Il sole mi interessa soltanto perché fa ombra”, dice Ferdinando Scianna identificandosi completamente nel suo ruolo di fotografo. Alle sue luci e alle sue ombre è dedicata la mostra appena inaugurata a Palazzo Reale, con più di duecento fotografie scelte per ripercorrere una lunga carriera. C’è il primo, prezioso libro sulle Feste religiose in Sicilia, dove gli scatti giovanili sono accompagnati dai testi di Leonardo Sciascia, accanto ai reportage realizzati in giro per il mondo dal primo italiano accolto nell’agenzia Magnum, nel 1982 su invito di Henri Cartier-Bresson; e c’è la memorabile campagna di moda orchestrata per gli esordi di Dolce e Gabbana, con la bellissima Marpessa in viaggio nella Sicilia profonda. Ma non mancano scatti meno noti, in grado di solleticare la nostra voglia di scoperta, indispensabili per tracciare il ritratto completo di uno dei fotografi italiani più rappresentativi degli ultimi cinquant’anni. Ferdinando Scianna, Kami, 1986 © Ferdinando Scianna I Courtesy Civita Mostre“Un’antologia è una legittima strage, una carneficina vista con favore dalle autorità civili e religiose. Una pulita operazione di sbranare i libri che vanno per il mondo sotto il nome dell’autore per ricavarne uno stufato, un timballo, uno spezzatino”, afferma Scianna in apertura del percorso, prendendo in prestito l’ironia di Giorgio Manganelli. Più avanti ne scopriremo l’arte accompagnati dalle sue stesse parole, grazie al racconto parallelo di un’audioguida in cui Scianna condivide con i visitatori il proprio modo di intendere la fotografia, ma anche storie e aneddoti che illuminano il contesto degli scatti esposti. Ferdinando Scianna, Leonardo Sciascia. Racalmuto, 1964 | © Ferdinando SciannaCurata da Paola Bergna, Denis Curti e Alberto Bianda, Ferdinando Scianna. Viaggio Racconto Memoria si snoda attraverso sessant’anni di fotografia e 21 sezioni, da Bagheria, dove il protagonista è nato e cresciuto, alle Ande, passando per Parigi e New York. Sui display è possibile sfogliare pagina dopo pagina i suoi volumi più importanti e non è un caso, visto che da sempre il libro è il medium favorito da Scianna.Ferdinando Scianna, Makkalè, 1984 © Ferdinando Scianna I Courtesy Civita Mostre“Come fotografo mi considero un reporter”, spiega l’autore: “Come reporter il mio riferimento fondamentale è quello del mio maestro per eccellenza, Henri Cartier-Bresson, per il quale il fotografo deve ambire a essere un testimone invisibile, che mai interviene per modificare il mondo e gli istanti che della realtà legge e interpreta. Ho sempre fatto una distinzione netta tra le immagini trovate e quelle costruite. Ho sempre considerato di appartenere al versante dei fotografi che le immagini le trovano, quelle che raccontano e ti raccontano, come in uno specchio. Persino le fotografie di moda le ho sempre trovate nell’azzardo degli incontri con il mondo”. Ferdinando Scianna, Enna,1963 © Ferdinando Scianna I Courtesy Civita MostreL’attualità, la guerra, il viaggio, le tradizioni popolari sono tra i temi sviluppati nell’itinerario espositivo, accanto ai paesaggi e ai ritratti degli amici come Sciascia, Cartier-Bresson e Jorge Luis Borges, senza dimenticare ossessioni come gli specchi o gli animali. Il tutto legato da un unico filo conduttore: la ricerca di una forma nel caos travolgente della vita. Ferdinando Scianna, Marpessa. Caltagirone, 1987 | © Ferdinando SciannaLeggi anche:• Scatti di primavera. Dieci mostre fotografiche da non perdere• Dalle celebrities ai miracoli. Al Mudec la svolta religiosa di David LaChapelle• La Poesia dell'Instante: con Denis Curti alla scoperta di Sabine Weiss]]></description> | |
<pubDate>Thu, 24 Mar 2022 13:32:00 +0100</pubDate> | |
<category>Arte</category> | |
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<title>Sofonisba Anguissola e la Madonna dell'Itria in mostra a Cremona</title> | |
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<description><![CDATA[<div><img src="http://www.arte.it/foto/1280x800/0d/127681-Sofonisba-Anguissola_Madonna-del-Litria-0002_.jpg" /></div>La storia di due cuori e un pennello, ma anche di un lascito bizantino, raccontata attraverso un capolavoro di una tra le più intriganti pittrici del Rinascimento italiano, prende forma a Cremona intorno all’opera più grande mai realizzata da Sofonisba Anguissola. Dal 9 aprile al 10 luglio il Museo Civico Ala Ponzone accoglierà la Madonna dell’Itria, oggi patrimonio della chiesa dell’Annunciata di Paternò. Che cosa abbia a che fare la pittrice cremonese con il piccolo comune siciliano in provincia di Catania è presto detto. Il 26 maggio 1573 Sofonisba, le cui opere lo stesso Vasari aveva definito “meraviglie”, sposava il nobile siciliano Fabrizio Moncada. Dopo un soggiorno di anni trascorso a Madrid, alla corte della regina Isabella come dama di compagnia e tutrice delle infante, la pittrice cremonese veniva accolta nella piccola corte di Paternò dove si accingeva a iniziare una nuova vita. Nel piccolo paese alle falde dell’Etna rimase fino al 1579 quando, venuto a mancare il marito nel corso di un attacco di pirati nel mare di Capri, decise di fare ritorno a Cremona. In realtà non raggiunse mai la sua città, travolta dall'amore folle per il capitano della nave che la conduceva a Genova dove si fermò prima di tornare ancora una volta in Sicilia, questa volta a Palermo, dove morirà quasi centenaria.Sofonisba Anguissola, Madonna dell'Itria (particolare) La sua attività di “Reggitrice” del feudo dei Moncada è ben documentata, al contrario di quella di pittrice in quegli stessi anni. La mostra attesa a Cremona, Sofonisba Anguissola e la Madonna dell’Itria, vuole raccontare proprio gli anni di Paternò, avendo come fulcro la pala della Madonna dell’Itria, oggi patrimonio della chiesa dell’Annunciata di Paternò. L’attribuzione del dipinto non lascia spazio a dubbi, anche se osservando la pala sono evidenti differenti livelli qualitativi. Ad affiancare ampi tratti di pittura ascrivibili con certezza all’artista cremonese, sono alcune porzioni di qualità decisamente inferiore, come il restauro cui l’opera è stata sottoposta ha confermato. Cosa avrebbe spinto Sofonisba a farsi affiancare da un artista o da un allievo così poco all'altezza? Forse una storia d’amore, come Mario Marrubi, conservatore dell’Ala Ponzone, racconta nel catalogo della mostra. La stesura a tratti semplificata, del tutto inusuale per Sofonisba, potrebbe tradire la mano di un secondo autore o quanto meno di un aiuto. Come risulta dall’atto di donazione, il marito Fabrizio l'avrà aiutata non solo a movimentare la pesante tavola o a preparare i colori, ma probabilmente anche a dipingerla. Nel monumentale dipinto - 240 cm circa di altezza - Sofonisba riassume e aggiorna le trasformazioni iconografiche della Madonna Odigitria, un modello ereditato dal mondo bizantino e presto recepito nelle isole e nelle regioni meridionali al seguito delle comunità greche e albanesi arrivate dai Balcani. La popolare iconografia che all’inizio raffigura la Madonna a mezzo busto con in braccio il Bambino Gesù seduto in atto benedicente, e che la Vergine indica con la mano destra (da qui l’epiteto), diventa, a partire dal Settecento, la figurazione nella quale la Vergine siede sopra una cassa lignea portata a spalla da due monaci basiliani (i “calogeri”). L’allusione è alle leggende relative al trafugamento e alla messa in sicurezza, dentro una cassa, della miracolosa icona che si voleva dipinta dallo stesso san Luca e che a lungo era stata considerata dagli abitanti di Costantinopoli una protettrice, prima della definitiva catastrofe del 1453. Per sottrarla alla furia distruttiva degli Ottomani i monaci l’avrebbero affidata ai flutti e questa sarebbe approdata sui lidi occidentali. Il culto riservato alla Madonna, divenuta nel frattempo semplicemente “d’Itria”, ebbe grandissima popolarità, e nel Settecento chiese a lei dedicate sorsero in tutta la Sicilia, mentre la Madonna fu proclamata patrona dell’isola.Sofonisba Anguissola, Madonna dell' Itria, Dettaglio Il 25 giugno 1579 Sofonisba, in procinto di lasciare l’isola, avrebbe affidato questa sua opera al convento dei francescani di Paternò. Da lì sarebbe stata spostata alla chiesa dell’Annunciata da dove alcun mesi fa è partita alla volta di Cremona per essere sottoposta ad un integrale restauro. La mostra esporrà la pala restaurata accanto ad altre testimonianze (tele, sculture, affreschi, dipinti su tavola) che permetteranno di seguire l’evoluzione del tema iconografico dall’icona medievale della Madonna Odigitria a quella moderna della Madonna dell’Itria. A conclusione della trasferta cremonese la mostra sarà riproposta dal 12 agosto al 4 dicembre, al Museo Diocesano di Catania.Cremona, Museo Civico Ala Ponzone © Sailko via Wikimedia Commons Leggi anche:• Sofonisba Anguissola e la Madonna dell'Itria• L'arte al femminile]]></description> | |
<pubDate>Wed, 23 Mar 2022 19:02:15 +0100</pubDate> | |
<category>Arte</category> | |
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<title>Dalle celebrities ai "miracoli". Al Mudec Denis Curti racconta la svolta di fede di David LaChapelle</title> | |
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<description><![CDATA[<div><img src="http://www.arte.it/foto/1280x800/17/127659-DELETE_7_2022_SPREE_CRUISE_SHIP_DARK.jpg" /></div>Dal suo eden di Maui, lussureggiante isola dell’arcipelago delle Hawaii, David LaChapelle lancia al mondo il suo nuovo messaggio di fede che ha tutte le caratteristiche di una svolta religiosa, accompagnata dalla fiducia in una nuova umanità.Star del cinema, madonne, natività irriverenti, oggetti fuori misura dalla forte saturazione e la provocazione profonda lasciano il posto a storie di amore e di amicizia, a ricostruzioni meno eclatanti, a colori più tenui, atmosfere più realistiche, dove i soggetti, sempre vestiti con abiti di scena, interpretano il loro ruolo in mezzo a una natura più accogliente e rasserenante. “Ogni mattina David va a nuotare dove si trova una cascata dipinta da Georgia O'Keeffe. È molto attento alle ambientazioni dei quadri della pittrice. Recentemente ha trovato un libro che riporta alcuni luoghi che sono gli stessi che lui frequenta. È andato alla ricerca di tutti i fiori che la pittrice aveva dipinto, li ha fotografati guardandoli con gli occhi di oggi, attraverso una visione sempre spettacolare, ma più serena”. Denis Curti parla di uno dei più influenti, discussi e irriverenti image maker del nostro tempo come di un amico stimato, un artista a tutto campo, aperto al dialogo, nonostante le diverse vedute sulla religione del direttore artistico della Casa dei TRE OCI di Venezia, fondatore della galleria di fotografia STILL e l’artista statunitense. Sarà proprio Curti a curare, assieme a Reiner Opoku, l’attesa mostra David LaChapelle. I Believe in Miracles, al MUDEC - Museo delle Culture di Milano dal 22 aprile all’11 settembre, dove una serie inedita di opere sarà il filo conduttore della nuova e visionaria fase di produzione dell’artista - l’ultima opera è datata 2022 - risultato della potente eredità della sua lunga esperienza artistica e umana.David LaChapelle, After the Deluge: Statue, 2007, Los Angeles © David LaChapelleOltre 90 lavori - tra grandi formati, scatti site-specific, nuove produzioni e una video installazione - tesseranno un racconto fluido e ricchissimo di suggestioni, attraverso cui LaChapelle ci invita a creare nuove relazioni con le persone, il consumo, la natura, la spiritualità, suggerendoci che un altro mondo è possibile. Basta credere nei miracoli. “Non sono per nulla religioso - confessa Denis Curti che raggiungiamo al telefono mentre è impegnato ad allestire la nuova mostra su Ferdinando Scianna che ha appena aperto i battenti a Palazzo Reale -. Ma mi ha molto interessato confrontarmi con LaChapelle perché per lui credere in un miracolo equivale alla possibilità di credere negli uomini, nelle donne e nel genere umano, di credere al tema dell’accoglienza, dell’inclusione, del rispetto della natura. Secondo David se credi in un miracolo hai una marcia in più. Miracolo è anche il pensare che la pace sia possibile”. Il progetto prodotto da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE e promosso dal Comune di Milano-Cultura è il risultato di un percorso di ricerca artistica che dura da una vita e che racconta un David LaChapelle inedito e inaspettato. Cosa vedremo in mostra? “La mostra è organizzata attraverso isole tematiche e segue un percorso non esattamente cronologico, concentrandosi soprattutto sulle sue ultime riflessioni. Almeno il 40 per cento delle opere in mostra è inedito. Ci sarà tutta una parte dedicata ai passaggi del vangelo. È come se David avesse deciso di cambiare il suo stile. Il percorso è un continuo entrare e uscire da storie. Si parte dall’idea di un nuovo mondo che cerca una natura incontaminata e lussureggiante dove possono convivere spiritualità, amore e bellezza e dove uomini e donne possono vivere finalmente liberati dall'alienazione e in connubio con il contesto naturale”. David LaChapelle, Gas: Shell, 2012, Hawaii © David LaChapelleLa mostra non è allestita negli spazi di Mudec Photo, come ci aspetteremmo visto che parliamo di fotografia, bensì negli spazi museali. Che valore dà questa scelta al percorso? “Per me ha un significato importante perché vuol dire che si riconosce da un punto di vista museale che David LaChapelle non è solo un fotografo, ma gode di tutta l’autorevolezza per stare in un museo dove di solito trova posto l’arte contemporanea”. Come sarà articolato questo viaggio personale, intriso di memoria e sentimenti? “Ci sarà un inizio abbastanza scoppiettante. D’altra parte David è diventato famoso in quanto fotografo delle star, da Madonna a Michael Jackson. Le immortalava per le riviste, i dischi, gli spettacoli, i film. Ha deciso di esporre questi ritratti appendendoli alla maniera dei manifesti degli spettacoli, delle mostre, degli eventi che vedeva in giro quando viveva a New York. LaChapelle è cresciuto nella Factory di Andy Warhol, ha fotografato David Hockney e tutte le esperienze nel mondo dell’arte, dove per “arte” intendiamo il cinema, la pittura, la fotografia, la danza. Quindi da una parte più biografica relativa agli inizi, quando lavorava con i negativi in bianco e nero, che colorava a mano, si passa ai lavori che denunciano la fragilità dell'uomo, insieme a un repertorio che guarda alla pop culture e lo star system del cinema, della musica, dell’arte”. Non manca il discorso sulla vulnerabilità dell’ambiente. Nella serie Landscape LaChapelle esamina la produzione globale di petrolio e le sue infrastrutture cogliendone l'aspetto tutt'altro che sostenibile... “Dopo la vicenda legata ai grandi personaggi la mostra ripercorre tutta una storia dedicata all’ambiente. Nella serie Landscape (2013) LaChapelle invita all’uso critico e consapevole delle risorse fossili, rigetta l’antropocentrismo, ricordandoci che la sopravvivenza umana non può prescindere da quella della natura. Ha chiamato nel suo studio di Los Angeles il miniaturista del Titanic che per due mesi ha lavorato a ricostruire modellini di centrali elettriche che sembrano incredibilmente vere. Tutto è stato realizzato con i prodotti del petrolio. Ha caricato su un furgone questi modellini fatti di cartone li ha portati al Joshua Tree Park fotografandoli con la luce pennellata. LaChapelle si batte contro il consumo della terra. In Gas: Shell ritrae un distributore di benzina, completamente ricostruito, immerso nella lussureggiante natura delle Hawaii. Poi realizza un’altra opera, anche questa in mostra, sugli incidenti aerei, dove semplicemente prende un grande acquario con acqua cristallina, vi scioglie anelline colorate e butta dentro modellini di aereo per simulare un incidente, a denunciare l’incredibile traffico aereo nei cieli. Un altro pezzo bellissimo in mostra è Spree, una riflessione sui viaggi, dove un modellino di 35 centimetri raffigura una nave da crociera che sta per affondare, incagliata in un mare di ghiaccio. Tutte queste idee sono declinate con fotografie spettacolari. Lo spettatore sa che si tratta di una messa in scena”. David LaChapelle, Landscape: King’s Dominion, 2013, Los Angeles © David LaChapelleIn cosa consiste, dal punto di vista stilistico, la “svolta religiosa” di LaChapelle? “Certo, anche questi ultimi lavori sono immagini costruite - questa è la sua cifra stilistica - ma sono ispirati a storie di amicizia e amore, sono ricostruzioni meno eclatanti, con colori più tenui, atmosfere più realistiche, dove i soggetti, vestiti con abiti di scena, interpretano quel ruolo in mezzo a una natura che sembra essere molto accogliente. In mostra troviamo molte immagini che fanno riferimento a questo suo momento di avvicinamento alla fede, alla religione, alla spiritualità. LaChapelle ha trovato all’interno del luogo in cui abita, l’isola di Maui, nelle Hawaii, una sorta di paradiso terrestre all’interno del quale ha realizzato moltissime fotografie, con un’attenzione particolare ad alcuni quadri di Georgia O’Keeffe. Recentemente ha trovato un libro che riporta alcuni luoghi che sono gli stessi che David frequenta. Tutte queste sue figure legate alla fede hanno un approccio sempre meno edulcorato. LaChapelle è diventato famoso per i colori forti, per la saturazione, la provocazione, la presenza di oggetti fuori scala e fuori misura. Qui è tornato a una visione sempre spettacolare, ma molto serena”. LaChapelle intraprende questo viaggio verso una dimensione più profonda e spirituale già a partire dagli anni Ottanta. Adesso questa svolta risulta più evidente. Qual è la linea di demarcazione che ha dato vita a questo cambio di rotta? “Nel 2006 LaChapelle compie un viaggio a Roma, vede la Cappella Sistina per la prima volta e ne rimane estasiato. Il 2006 è anche l’anno della monumentale serie intitolata The Deluge, che segna un punto di svolta profonda nel suo lavoro. Con opere come The Deluge e After the Deluge - ispirate a entrambe al Diluvio Universale della Cappella Sistina - inizia un percorso molto profondo di avvicinamento alla fede. Anche se l’elemento spirituale gli appartiene da sempre, da questo momento esplode in maniera totale. A Maui, dove adesso vive, ha una sua cappella, una chiesa. A un certo punto ha deciso di rallentare molto il suo lavoro professionale”. David LaChapelle, Revelations, 2020, Los Angeles © David LaChapelleIn che senso quella di Lachapelle è una fotografia “gestuale”? Si tratta di un modo di operare molto diverso da quello di Ferdinando Scianna, la cui mostra a Palazzo Reale è sempre curata da lei. “È una fotografia gestuale perché al fianco del suo sguardo c’è sempre un gesto preciso, un’azione precisa. Scianna è un reporter, un fotografo di sguardo che considera il caso un elemento della sua creatività. Alla domanda che un giornalista gli fece, sull’importanza del caso nel suo lavoro, Scianna rispose che suo nonno faceva il falegname. La sua materia prima era il legno. Per Scianna la materia prima è il caso. Il fotografo non sa cosa succederà, come sarà la cosa che dovrà fotografare, e se l’oggetto da fotografare avrà una buona luce o un buon fondo, ma si affida al caso. Per LaChapelle questo elemento non esiste, perché lui non ha mai fatto una foto affidandosi al caso, ma ha ricostruito esattamente quello che voleva fotografare. In questo senso per LaChapelle la fotografia è un’azione gestuale, perché intrisa di questo suo gesto continuo che mette in scena. Nel suo studio di Los Angeles, di oltre duemila metri quadri, che ho avuto il piacere di visitare, costruisce l’ambientazione delle sue foto. Quando realizza Deluge, una foto gigantesca in mostra, lunga sette metri, allaga davvero parte dello studio, mettendo dentro un’automobile, un’insegna di Burger King, la ricostruzione del Caesars Palace di Las Vegas, cavi elettrici e 32 comparse nude fotografate tutte nello stesso momento. LaChapelle è l’autore che, più di chiunque altro, ci conferma che la fotografia è un’arte scenica, dove quello che conta è il pensiero”. David LaChapelle, Heliconia No. 1, 2020, Hawaii © David LaChapelleLei conosce LaChapelle. Che tipo è? “Lo conosco, l’ho visto più volte, sono andato a trovarlo negli Stati Uniti. È un artista a tutto campo, scenografo, regista. Di lui apprezzo molto l’ultima parte di questa produzione, di questa svolta di fede. La cosa che mi affascina di più è che, pur essendo molto coinvolto sul piano della fede e della religione, rimanga comunque una persona accogliente nei confronti di chi non la pensa come lui. In parole povere, non è uno che ti vuole convertire! Ha sofferto molto e lo dice con un garbo e con incredibile dolcezza. Tutti i suoi amici sono morti di AIDS, lui si considera un sopravvissuto. Poi apprezzo la sua coerenza. Tutta la sua casa a Maui è realizzata con un’impostazione realmente ecologica. Mi piace molto perché è completamente diverso da me. Io sono il diavolo, lui l’acqua santa”. Leggi anche:• David LaChapelle. I believe in miracles• La poesia dell'istante: con Denis Curti alla scoperta di Sabine Weiss• Ferdinando Scianna. Viaggio racconto memoria]]></description> | |
<pubDate>Wed, 23 Mar 2022 15:38:27 +0100</pubDate> | |
<category>Arte</category> | |
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<title></title> | |
<link>http://www.arte.it/notizie/roma/zurbaran-velasquez-e-caravaggio-si-incontrano-ai-musei-capitolini-19229</link> | |
<description><![CDATA[<div><img src="http://www.arte.it/foto/1280x800/f6/127611-zurbaran.jpg" /></div>Il Secolo d’Oro spagnolo rivive ai Musei Capitolini: l’occasione è l’arrivo di un celebre di dipinto di Francisco de Zurbaràn, punta di diamante del Barocco in terra iberica insieme a Diego Velàsquez e Bartolomé Murillo. Proveniente dalle collezioni del Saint Louis Art Museum, San Francesco contempla un teschio dialoga nella Sala di Santa Petronilla con altre pietre miliari della pittura del suo tempo: il Ritratto di Juan de Cordoba di Velàsquez e due tele di Caravaggio, la Buona ventura e il San Giovanni Battista, capolavori realizzati nell’arco di circa 50 anni che insieme offrono spunti di riflessione su una stagione cruciale per lo sviluppo della pittura europea. Il confronto si fa ancora più interessante se pensiamo che Antonio Palomino, uno dei primi biografi di Zurbaràn, nel 1724 si riferisce all’artista con il nome di “Caravaggio di Spagna”: pur non avendo mai avuto occasione di ammirare dal vivo le opere del Merisi, infatti, il pittore iberico ne ha appreso la lezione dalle copie circolanti fin da subito nel suo paese e attraverso i dipinti di seguaci come José de Ribera. Francisco Zurbarán (1598-1664), St. Francis Contemplating a Skull, ca. 1635. Oil on canvas, cm 91.4 x 30.5 Saint Louis, Saint Louis Art Museum, inv.47:1941Da parte sua, il San Francesco è un dipinto particolarmente rappresentativo dell’arte di Zurbaràn, un artista quasi assente dalle collezioni italiane e alla sua prima mostra nella penisola, se escludiamo il progetto che l’ha visto protagonista al Palazzo dei Diamanti di Ferrara nel 2013. Autentica ossessione pittorica di Zurbaràn, qui il santo di Assisi è al centro di una composizione monumentale dal fascino austero e di spiccato rigore geometrico. Luci e ombre non imitano la natura e non cercano un effetto immediato, come in Caravaggio, ma assumono un valore simbolico e spirituale, collocando il santo in una dimensione mistica lontana dall’osservatore e dalle sue percezioni. Michelangelo Merisi da Caravaggio (1571-1610), Giovanni il Battista, 1602. Oil on canvas, cm 129 x 94. Rome, Capitoline Museums, inv. PC 239A dispetto delle differenze, è proprio sull’uso della luce che si incentra il confronto tra i maestri del Seicento nella Sala di Santa Petronilla: pittore onirico e magico, Zurbaràn parte dallo stile di Caravaggio per elaborare tenebrismi e chiaroscuri che applica alle figure dei santi, ma anche alle sue famose nature morte iperrealistiche. Nella sua visione, la luce è il veicolo attraverso il quale la grazia si proietta tanto nel mondo fisico quanto in quello spirituale, coerentemente con quanto si legge nella letteratura mistica del tempo. Originariamente parte del retablo della chiesa carmelitana del collegio di Sant’Alberto a Siviglia, il San Francesco del Saint Louis Art Museum ci parla del delicato passaggio tra la vita e la morte, alludendo alla fragilità dell’esistenza umana, un tema ricorrente nel Barocco spagnolo e in tutta l’arte della Controriforma. Diego Rodríguez de Silva y Velázquez (1599-1660), Ritratto di Juan de Córdoba, ca. 1650. Oil on canvas, 67 x 50 cm Rome, Capitoline Museums, inv. PC 62A cura di Federica Papi e Claudio Parisi Presicce, Zurbaràn a Roma. Il San Francesco del Saint Louis Art Museum tra Caravaggio e Velàsquez sarà in mostra ai Musei Capitolini fino al 15 maggio. Michelangelo Merisi da Caravaggio, Buona Ventura, Olio su tela, 115 x 150 cm, Roma, Pinacoteca Capitolina]]></description> | |
<pubDate>Tue, 22 Mar 2022 16:17:29 +0100</pubDate> | |
<category>Arte</category> | |
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<title>Inaugura la BG Art Gallery. A Milano esplode la voglia di arte contemporanea</title> | |
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<description><![CDATA[<div><img src="http://www.arte.it/foto/1280x800/85/127599-BG_Art_Gallery.jpg" /></div>Il 22 marzo 2022 sarà per sempre a Milano il giorno della rinascita delle iniziative dedicate all’arte contemporanea. Ad annunciare il ricco palinsesto della Milano Art Week - che si svolgerà dal 28 marzo al 3 aprile in contemporanea al miart -, è l’assessore Tommaso Sacchi durante la conferenza stampa a Palazzo Pusterla in piazza Sant’Alessandro, sede di Banca Generali, main sponsor della settimana dell’arte. E proprio nella cornice del bellissimo palazzo cinquecentesco, una delle meraviglie della città che si affaccia sulla piazza con la chiesa che è un gioiello del barocco lombardo, si informa dell’apertura al pubblico di un luogo nuovo per la città, la BG Art Gallery, a cui si accede dal cortile interno. Un’inaugurazione che sposa pienamente la missione dell’Art Week: far scoprire a residenti e visitatori luoghi nuovi. Perché, come sostiene il curatore Vincenzo De Bellis, “Milano è il valore aggiunto di miart”. Oggi la BG Art Gallery è uno spazio espositivo che anima la scena dell’arte contemporanea con una selezione di opere di artisti italiani di fama internazionale, entrate a far parte della collezione di Banca Generali. Domani sarà luogo di esposizioni ed eventi culturali. Interessanti le opere dei 5 artisti selezionati da Vincenzo De Bellis nell’ambito del progetto BG ArTalent a sostegno dei nuovi talenti italiani in dialogo con altrettante opere di artisti di spicco della scena contemporanea. I lavori di Francesco Arena, Rosa Barba, Enrico David, Lara Favaretto e Linda Fregni Nagler sono affiancati a opere di Giulio Paolini, Andrea Galvani, Marguerite Humeau, Marzia Migliora e Maurizio Donzelli. Al via dunque il 28 marzo a un’Art Week che intende fare l’eco a “primo movimento”, titolo dell’edizione 2022 del miart, con una sinfonia di iniziative ben orchestrate in tutti gli angoli della città.Artur Zmijewski. Quando la paura mangia l’anima | Courtesy of PAC – Padiglione d’Arte Contemporanea, Milano Doppio opening al PAC|Padiglione d’Arte Contemporanea (Artur Zmijewski. Quando la paura mangia l’anima, fino al 12 giugno) e alla GAM|Galleria d’Arte Moderna (“As above, so below. Elisa Sighicelli”). La prima mostra personale in Italia di Artur Zmijewski, tra le figure più radicali e importanti della scena artistica polacca. Il lavoro di Zmijewski riflette la preoccupazione per i problemi socio-politici di oggi e indaga i meccanismi del potere e dell'oppressione e la relazione tra le emozioni estreme e le loro espressioni fisiche. Per tutta la settimana sarà possibile accedere alla mostra con biglietto scontato. Fino al 3 luglio sarà invece aperta alla GAM As Above, So Below, la prima personale in un museo milanese dell’artista Elisa Sighicelli, racconto inedito dedicato ai depositi del museo con un allestimento speciale, concepito dall’artista stessa: circa 25 immagini tra stampe fotografiche su carta, una stampa su gesso e due sculture provenienti dal deposito sculture della GAM svelano un mondo nascosto, abitato da circa 800 oggetti scultorei che hanno abitato i sotterranei del museo in attesa di ritrovare una più funzionale collocazione. Pirelli HangarBicocca inaugura il 30 marzo una mostra dedicata a Steve McQueen, con un apposito progetto espositivo e una nuova selezione di opere, un’occasione per approfondire la carriera di McQueen nelle arti visive e mettere in luce l’evoluzione della sua pratica e gli aspetti più innovativi dei suoi lavori.Steve McQueen, Charlotte, 2004, Still, 16mm color film, no sound, 5’ 42’’ | © Steve McQueen I Courtesy the Artist, Thomas Dane Gallery and Marian Goodman Gallery Alla Fondazione Prada dal 30 marzo apre la mostra Useless Bodies? del duo di artisti Elmgreen & Dragset, che si estenderà in quattro spazi espositivi e nel cortile della sede milanese. Il progetto esplora la condizione del corpo nell’era post-industriale, in cui la nostra presenza fisica sembra avere perso la sua centralità. Sempre il 30 marzo si inaugura nella sala delle cremazioni del Tempio Crematorio il progetto speciale NinnaNanna, frutto della collaborazione tra Museo del Novecento, Maurizio Cattelan’s Archive e il Cimitero Monumentale. L’opera Lullaby (1994) di Maurizio Cattelan, realizzata dall’artista raccogliendo in sacchi le macerie del PAC causate da una bomba nell’attentato di matrice mafiosa del 27 luglio 1993, viene esposta a Milano per la prima volta. Particolarmente significativa per la storia di Milano e per i Musei Civici, l’opera sarà donata dall’artista al Comune di Milano e, al termine della mostra (6 novembre), entrerà a far parte delle collezioni civiche. Come ogni anno viene dato ampio spazio all’Arte pubblica: il 1° aprile inaugurazione a CityLife di tre nuove opere di ArtLine che vanno ad aggiungersi agli altri lavori che già popolano il grande parco: Atrio dello sguardo sul futuro di Mario Airò, Padiglione Rosso di Alfredo Jaar e Guardiane di Kiki Smith. Il tema dell’arte performativa è affrontato il 1° aprile in piazza Sempione con OUTPUT, ciclo di performances nello spazio pubblico ad opera di Riccardo Benassi e Michele Rizzo con il supporto di Fondazione Marcelo Burlon, che si susseguiranno a partire dalle 18 fino alle 21. Sabato, alle ore 19, il Museo del Novecento ospita One di Marie-Caroline Hominal, in collaborazione con Istituto Svizzero, una performance in tre capitoli interroga la caduta, il mercato dell'arte e l'autorialità. Oltre alle numerose mostre in corso, Triennale Milano propone sabato la lezione - performance di Christodoulos Panayiotou Dying On Stage e domenica la proiezione di Milano di Romeo Castellucci, filmato da Yuri Ancarani. Al Museo Nazionale Scienza e Tecnologia lecture e workshop dell’artista Angélica Dass con Humanae Project.Humanae di Angélica Dass | © Humanae Project]]></description> | |
<pubDate>Tue, 22 Mar 2022 15:39:34 +0100</pubDate> | |
<category>Arte</category> | |
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<title>La Marylin di Warhol all'asta dei record</title> | |
<link>http://www.arte.it/notizie/mondo/la-marilyn-di-warhol-all-asta-dei-record-19225</link> | |
<description><![CDATA[<div><img src="http://www.arte.it/foto/1280x800/0c/127579-Warhol_Marilyn_SM_.jpg" /></div>La casa d'aste Christie's ha annunciato che nella Marquee Week di maggio prossimo verrà messa all'asta una delle opere più iconiche della pop art americana, la Shot Sage Blue Marilyn di Andy Warhol. Secondo le prime stime l'opera punta a superare i 200 milioni di dollari che andranno a beneficio della Thomas and Doris Ammann Foundation, una fondazione che si dedica al miglioramento della vita dei bambini di tutto il mondo istituendo sistemi di supporto incentrati sulla fornitura di programmi sanitari e educativi. Con il cento per cento dei proventi in beneficenza, la vendita di questo singolo dipinto costituirà l'asta filantropica con il maggior incasso dai tempi della Collezione di Peggy e David Rockefeller nel 2018. | |
Thomas e Doris Ammann erano fratelli e fondatori di Thomas Ammann Fine Art dal 1977, una storica galleria di Zurigo che sosteneva artisti dell'era impressionista, moderna, del dopoguerra e contemporanea. Hanno gestito la galleria con un fervore senza pari e un gusto impeccabile, affermandola come uno degli spazi artistici più influenti in Europa, amato e rispettato dai migliori collezionisti di tutto il mondo. Dopo la morte del fratello nel 1993, Doris ha continuato a guidare con successo la galleria con la sua grazia, conoscenza e discrezione, pur continuando a sostenere le carriere di un'influente generazione di artisti durante la recessione. | |
Pazienti, diplomatici e gentili, entrambi i fratelli avevano un profondo apprezzamento per l'arte e gli artisti, contando Cy Twombly e Brice Marden tra i loro amici più cari. Con i proventi della vendita a beneficio della Fondazione Thomas e Doris Ammann, l'eredità dei fratelli continuerà nella sua tradizione di benevolenza e generosità che avrà un impatto sulla vita dei bambini per generazioni. Georg Frei, Presidente del Consiglio di Amministrazione, Fondazione Thomas e Doris Ammann, commenta: “Il ritratto di Marilyn di Andy Warhol, sicuramente ora più famoso della fotografia (una pubblicità originale ancora per il film Niagara del 1953 di Henry Hathaway) su cui si basa, testimonia la sua immutata potenza visiva nel nuovo millennio. Lo spettacolare ritratto isola la persona e la star: Marilyn la donna se n'è andata; le terribili circostanze della sua vita e della sua morte sono dimenticate. Non resta che il sorriso enigmatico che la lega a un altro sorriso misterioso di una illustre signora, la Gioconda". | |
Alex Rotter, Presidente di Christie's, 20th and 21st Century Art, osserva: “Il dipinto più significativo del 20° secolo messo all'asta da una generazione, Marilyn di Andy Warhol è l'apice assoluto del pop americano e la promessa del sogno americano che racchiude ottimismo, fragilità , celebrità e iconografia tutto in una volta. Il dipinto trascende il genere della ritrattistica in America, sostituendo l'arte e la cultura del 20° secolo. In piedi accanto alla Nascita di Venere di Botticelli, alla Gioconda di Da Vinci e a Les Demoiselles d'Avignon di Picasso, Marilyn di Warhol è categoricamente uno dei più grandi dipinti di tutti i tempi e un'opportunità unica per presentare questo capolavoro pubblicamente all'asta. | |
La provenienza del ritratto comprende i migliori galleristi del 20° secolo, tra cui Leon Kraushar, New York, Leo Castelli Gallery, New York, Fred Mueller, New York, Blum Helman Gallery, New York, e SI Newhouse, New York, Thomas Ammann , Zurigo, prima di essere acquisita dall'attuale proprietario.]]></description> | |
<pubDate>Mon, 21 Mar 2022 18:18:47 +0100</pubDate> | |
<category>Arte</category> | |
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<title>Quella statua da giardino è di Canova! La <i>Maddalena </i> ritrovata va all'asta da Christie's</title> | |
<link>http://www.arte.it/canova/-19223</link> | |
<description><![CDATA[<div><img src="http://www.arte.it/foto/1280x800/55/127565-64847429-X-Det6_JPEG_large.jpg" /></div>Lo sguardo in estasi sconvolto dal pathos, la testa reclinata all’indietro, una lacrima a rigarle la guancia. Distesa per terra, “quasi svenuta per l’eccessivo dolore della sua penitenza”, la Maddalena giacente di Antonio Canova, considerata finora perduta, riemerge dall’oblio del tempo che l’aveva vista, alla maniera di una “bella addormentata” nella favola dell’arte vagare senza nome, di mano in mano, nell’intricatato regno di aste e collezioni. Non sbuca da un museo o da una chissà quale prestigiosa collezione. Per uno strano gioco del destino, si fa viva nel duecentenario della morte del suo scultore, acquistata dal suo attuale proprietario nel 2002, durante un’asta di statue da giardino, al costo di poche migliaia di sterline, con l'umiltà di una donna qualsiasi. Il marmo è la sua pelle. E chiunque abbia visitato il sublime tempio della bellezza che è il Museo Gypsoteca Antonio Canova di Possagno, non può non volgere il pensiero al medesimo soggetto, che fino a qualche giorni fa rappresentava l’unica testimonianza dell’opera in marmo di cui si erano perse le tracce.Antonio Canova, Maddalena giacente, Marmo, 1819 - 1822. Valore stimato £5,000,000-8,000,000 | Courtesy Christie’s Images Ltd 2022Il modello in gesso, datato "1819 nel mese di settembre", che non passa inosservato agli ospiti della Gypsoteca, servì a Canova per realizzare la Maddalena giacente in marmo. Il maestro doveva amare a tal punto questo modello esposto nel suo studio da citarlo in una lettera all'amico Quatremère de Quincy. "Ho esposto un altro modello di una seconda Maddalena distesa per terra, e quasi svenuta per l'eccessivo dolore della sua penitenza, argomento che mi piace molto, e che mi ha guadagnato molte indulgenze, e lodi molto lusinghiere" scriveva l'artista.Tra queste lodi vi era quella dello scrittore, poeta e paroliere irlandese dell'epoca, Thomas Moore, che aveva definito l’ultima Maddalena letteralmente "divina”. Così se già l'ignaro proprietario del marmo ritrovato stava già pregustando la resa panica che la sublime scultura da giardino avrebbe avuto tra piante e arbusti, dovrà rinunciare al proprio ambizioso allestimento. Completata poco prima della morte di Canova, nel 1822, la Maddalena giacente è il capolavoro del titano del marmo considerato perduto, cercato per anni dagli studiosi senza mai venirne a capo. Svegliata, grazie al caso, dal suo torpore lungo secoli, sarà lei la star di una delle prossime aste da Christie's, che sarà battuta il 7 luglio per un valore stimato tra i 5 e gli 8 milioni di sterline. Certo, un'opportunità estremamente rara per il mercato di acquisire un così importante esempio di scultura neoclassica.Antonio Canova, Maddalena giacente, Marmo, 1819 - 1822. Valore stimato £5,000,000-8,000,000 | Courtesy Christie’s Images Ltd 2022 “È un miracolo che l'eccezionale capolavoro di Antonio Canova, da tempo perduto, la Maddalena giacente, sia stato ritrovato 200 anni dopo il suo completamento - commenta Mario Guderzo, già direttore del Museo Gypsotheca Antonio Canova e del Museo Biblioteca Archivio di Bassano del Grappa -. Quest'opera è ricercata dagli studiosi da decenni, quindi la scoperta è di fondamentale importanza per la storia del collezionismo e la storia dell'arte. Testimonia l'intenso processo di pensiero dell'opera dello scultore italiano che fu testimone fondamentale del suo tempo: fedele a Papa Pio VII, ricercato da Napoleone, amato dal sovrano inglese Giorgio IV, stimato nel mondo del collezionismo europeo e di fondamentale importanza per la restituzione delle opere d'arte sequestrate sotto Napoleone”. Esposta presso la sede di Christie's a Londra il 19 e 20 marzo, la statua ritrovata del maestro di Possagno si mostrerà ancora una volta in tournée a New York, dove sarà dall'8 al 13 aprile, e poi a Hong Kong, dal 27 maggio al 1° giugno, prima di far ritorno nella City per tre settimane nel mese di giugno, e passare alla pre-vendita dal 2 al 7 luglio. "La riscoperta del capolavoro perduto di Canova - commenta Donald Johnston, International Head of Sculpture di Christie's - è immensamente emozionante ed è un punto culminante dei miei oltre 30 anni di carriera nel settore. Questa scultura rappresenta una commissione ampiamente documentata di una figura importante della storia britannica, il primo Ministro Lord Liverpool, il cui acquisto è una testimonianza dell'amore che i collezionisti britannici avevano sempre dimostrato per l'opera del grande scultore neoclassico Antonio Canova”. Antonio Canova, Maddalena giacente, Gesso I Courtesy Museo e Gypsotheca Antonio CanovaIl marmo della Maddalena giacente fu infatti commissionato dal Primo Ministro dell'epoca, Lord Liverpool, nel 1819. Fu lui il privilegiato erede degli ultimi colpi di scalpello del maestro di Possagno, culmine degli studi sulla forma umana con la sua languida grazia. Alla morte del Lord, nel 1828, appena sei anni dopo il completamento della scultura, la Maddalena finì nelle mani del fratello Charles, per poi passare a Christie's nel 1852, in occasione di un’asta. Presentata come "La statua celebrata della Maddalena del Canova", e descritta nel catalogo dell'asta come "una delle opere più belle e rifinite" del maestro, approdò nella collezione di Lord Ward, uno dei più eminenti collezionisti del suo tempo. Da allora sgattaiolò di mano in mano fino a quando, in meno di un secolo, la paternità del marmo e l’identità della statua non caddero nell’oblio. In un’asta del 1938 la scultura veniva descritta semplicemente come una "figura classica". Nel 2002 l'acquisto da parte dell'attuale proprietario durante una vendita di statue da giardino. Solo di recente l’ultima fatica del poeta del marmo ha ritrovato la sua autentica paternità, regalando al mercato la straordinaria opportunità di acquisire un marmo autografo dell'ultimo Antonio Canova. Leggi anche:• A Possagno Canova a tu per tu con la scultura contemporanea]]></description> | |
<pubDate>Mon, 21 Mar 2022 16:10:27 +0100</pubDate> | |
<category>Arte</category> | |
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<title>La settimana in tv si accende con Leonardo, Segantini, Masaccio</title> | |
<link>http://www.arte.it/notizie/italia/la-settimana-in-tv-si-accende-con-leonardo-segantini-masaccio-19221</link> | |
<description><![CDATA[<div><img src="http://www.arte.it/foto/1280x800/25/89665-Leonardo-da-Vinci_Dama-con-l-ermellino.jpg" /></div>Che cos’è che unisce Cecilia, Isabella, Izabela, Melitta, quattro adolescenti entrate nella storia grazie alle avventurose peripezie di un capolavoro di Leonardo? A congiungere i destini di queste figure femminili fuori dal comune è il documentario Le Dame con l’ermellino, in onda su Sky Arte oggi, lunedì 21 marzo. Scopriamo così che l’eccezionalità di questo dipinto a olio su tavola è fortemente connessa alla storia di queste quattro donne che hanno ispirato, desiderato, salvato e riscoperto questo capolavoro pittorico. Ma nella settimana dell’arte, dal 21 al 27 marzo, brillano anche Masaccio e Warhol, Segantini ed Emilio Vedova. Ecco la nostra agenda di appuntamenti da non farsi sfuggire. Le Dame con l'ermellino, lunedì 21 marzo su Sky Arte HDSu Sky Arte Leonardo, Masaccio, Segantini Conservato oggi al Museo Principi Czartoryski, parte del Museo Nazionale di Cracovia, il dipinto di Leonardo La Dama con l’ermellino ha saputo cogliere, come nessun altro pittore era riuscito a fare prima, un istante di realtà con una precisione che rende di fatto il quadro un ritratto fotografico ante litteram. Oltre ad avere avuto una vita movimentata, l’opera ha incrociato lo sguardo di diverse donne. Il documentario dal titolo Le Dame con l’ermellino, in onda su Sky Arte oggi, lunedì 21 marzo alle 17.45, ripercorre le loro vicende. La donna immortalata da Leonardo, prima protagonista del film, è Cecilia Gallerani, l’amante di Ludovico il Moro nella Milano sforzesca del secondo Quattrocento. Accanto a lei conosciamo Isabella d’Este, marchesa di Mantova, che a lungo cercò di essere ritratta dal maestro. La terza è la principessa polacca Izabela Czartoryska che ricevette l’opera dell’artista all’inizio dell’Ottocento, la collocò nella sua collezione d’arte e poi la mise in salvo, sottraendola alle guerre. Infine incontriamo Melitta Sallai, una ragazza tedesca che vide il quadro trafugato dai nazisti mentre fuggivano dall’Armata Rossa, negli ultimi mesi della Seconda Guerra Mondiale. Il documentario parte dai ricordi di Melitta per ripercorrere a ritroso le sorti di questo gioiello conteso da Hitler e Goering e finito nelle stanze private di Hans Frank, il “Boia della Polonia”, durante l’occupazione nazista. Un fotogramma da Kusama – Infinity, 2018, Russia, Documentario, 1h 20m, Regia di Heather LenzMartedì 22 marzo Kusama Infinity ci regala un viaggio tra le creazioni dell’artista giapponese, accompagnandoci nella sua esistenza fantasiosa fatta di reti e di pois, specchi e zucche colorate. Giovedì 24 i più mattinieri inizieranno la giornata con la luce di Giovanni Segantini. Alle 7.40 il docu-film Segantini - Ritorno alla natura, diretto da Francesco Fei, vedrà un Filippo Timi dare voce e volto all’artista di Arco, in perenne oscillazione tra divisionismo e simbolismo, in questo emozionante film vincitore del premio del pubblico al Biografilm Festival 2016. A fare da “bussola” in questo straordinario viaggio alla scoperta della luce sono capolavori quali La ragazza che fa la calza della Kunsthaus di Zurigo, Le due madri, L’amore alla fonte della vita e L’Angelo della Vita della Galleria d’Arte Moderna di Milano, Mezzogiorno sulle Alpi e il celebre Trittico della Natura custodito a St. Moritz.Italie Invisibili, Ancona | Courtesy Sky Sempre giovedì torna su Sky Arte (disponibile anche on demand e in streaming su NOW) la nuova stagione di Italie invisibili, una produzione Sky Original che, attraverso sei nuovi episodi, accompagna alla riscoperta di atmosfere solo apparentemente svanite dal Lazio alle Marche, dalla Campania alla Calabria. Luoghi e percorsi rivivono grazie al racconto di archeologi, storici e studiosi d’arte antica che fanno “parlare” il paesaggio, battendo itinerari alternativi e sorprendenti.Il doppio appuntamento del 24 marzo alle 21.15 vedrà protagonisti i Castelli Romani, raccontati come “lo Stato dell’otium”, e Ancona, crocevia commerciale e "Porta d'Oriente". La puntata ricostruirà i tratti di indipendenza politica e culturale che vide la città tra le regine del cosiddetto “Rinascimento Adriatico”.Il sabato sera è riservato ai Grandi Maestri. Il 26 marzo alle 21.15 le innovazioni pittoriche di Masaccio che ci riportano all’Esistenzialismo novecentesco saranno al centro del documentario dedicato a uno dei pennelli tra i più rivoluzionari, moderni, innovatori di sempre. Giovanni Segantini, Le due madri, 1889, Milano, GAM (Galleria d'Arte Moderna)Emilio Vedova protagonista su Rai 5 Il venerdì di Rai 5 fa rima con Art Night. La puntata numero 18 del programma di Silvia De Felice, Emanuela Avallone, Massimo Favia, Alessandro Rossi, con la regia di Andrea Montemaggiori e condotto da Neri Marcorè, regala al pubblico un'avventura nell'arte travagliata di Emilio Vedova, dalla Nuova Secessione al Fronte degli Otto, fino al suo approdo nell'Informale. Il documentario Emilio Vedova. Dalla parte del naufragio, una produzione Fondazione Emilio e Annabianca Vedova e Twin Studio, scritto e diretto da Tomaso Pessinae, con Toni Servillo, ripercorre la straordinaria vicenda umana e artistica del grande pittore attraverso le pagine sei suoi diari e i preziosi contributi di artisti, collaboratori e amici. A seguire, in Speciale Lucio Amelio – Terrae Motus, documentario girato nel 1993, con la regia di Mario Martone, il gallerista napoletano Lucio Amelio si racconta. La Galleria di Amelio era un punto di incontro e ritrovo di artisti internazionali, da Beuys a Rauschemberg, da Merz a Warhol.Quando il terremoto sferzò la città, nel 1980, Amelio si appellò all’arte, chiamando a raccolta gli amici artisti ai quali chiese un’opera dedicata a quell’evento tragico. Nacque così la collezione Terrae Motus, oggi accolta nelle sale della Reggia di Caserta.Rai Storia sulle tracce della World Heritage List Unesco Nel pensiero originario dei padri fondatori, la World Heritage List doveva essere un elenco ristretto di tesori dell'umanità da proteggere: cento luoghi simbolo, o poco più. Eppure il successo della lista creata dall'Unesco ha superato ogni aspettativa. Oggi sono quasi 1100 i siti del Patrimonio Mondiale Culturale e Naturale distribuiti in tutto il pianeta. Come si è sviluppato questo successo e come è cambiato in questi anni il concetto di patrimonio mondiale? A questi interrogativi risponde il terzo episodio di "Italia: viaggio nella bellezza", documentario che si avvale dei contributi e degli interventi dei più accreditati esperti nazionali e internazionali del patrimonio culturale, da Mechtild Rössler, direttore Unesco World Heritage Centre, ad Alessandro Balsamo, responsabile candidature del Patrimonio Mondiale Unesco World Heritage Centre.The Andy Warhol Diaries, dal 9 marzo su Netflix | Courtesy NetflixSu ARTE tv Renoir tra Rococò e Impressionismo Pierre-Auguste Renoir, uno dei maestri dell'Impressionismo francese, non tollerava le accuse di rottura della tradizione pittorica che venivano indirizzate al suo stile. Più che a una rivoluzione, infatti, l’artista per il quale “Tutto il quotidiano era fiabesco” puntava a raggiungere un punto di equilibrio tra il rispetto della tradizione e le nuove rappresentazioni, come quelle della Parigi degli anni '70 del XIX secolo, pronta a debuttare nella modernità con le sue classi sociali. ARTE tv dedica un approfondimento al suo pennello impressionista con Pierre-Auguste Renoir: tra Rococò e Impressionismo, disponibile fino al 30 maggio. Andy Warhol si racconta su Netflix Chi è l’artista più noto e controverso in America “al giorno d’oggi”? Parte da questo quesito l’appassionante viaggio nell’anima di Andy Warhol che la piattaforma di streaming Netflix dedica a uno dei più grandi geni dell’arte, attraverso la serie The Andy Warhol Diaries prodotta da Ryan Murphy e diretta dal regista Andrew Rossi. Concepito inizialmente come un taccuino per registrare le spese, e divenuto nel tempo lo scrigno autentico di un’anima complessa e profondissima, il Diario del genio pop ci restituisce un ritratto schietto e affascinante in sei episodi magnetici: Segnali di fumo, Shadows: Andy e Jed, Una doppia vita: Andy e Jon, La collaborazione: Andy e Basquiat, 15 minuti, Loving the Alien. Dietro la maschera del re della pop art ossessionato dalla fama scopriamo un Warhol inedito, per certi versi mai visto, oltre a condividere con lui pensieri, tabù, menzogne, serate folli tra l’Anvil e il leggendario Studio 54, riscoprendo l’universo fuori dagli schemi che ruota intorno alla sua arte. Leggi anche:• The Andy Warhol Diaries: su Netflix il genio della Pop art come non lo abbiamo mai visto]]></description> | |
<pubDate>Mon, 21 Mar 2022 11:05:11 +0100</pubDate> | |
<category>Arte</category> | |
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<title></title> | |
<link>http://www.arte.it/notizie/italia/l-agenda-dell-arte-al-cinema-19219</link> | |
<description><![CDATA[<div><img src="http://www.arte.it/foto/1280x800/88/72391-Sansepolcro_Cinema_Teatro_Dante.jpg" /></div>• Leonardo. Il capolavoro perduto. Al cinema dal 21 al 23 marzoRealtà e leggenda si confondono nel dipinto più costoso della storia: parliamo del Salvator Mundi attribuito a Leonardo da Vinci, venduto per 450 milioni di dollari in una memorabile asta da Christie’s nel 2017 e poi scomparso nel nulla. In questo film applaudito dal Tribeca Film Festival alla Festa del Cinema di Roma, il regista Andreas Koefoed si getta sulle tracce dell’opera per provare a dipanarne l’enigma. Costruito come un thriller, il suo racconto riparte da un giorno del 2008, quando la National Gallery di Londra riunì i massimi esperti del genio di Vinci attorno a una tavola oscura, acquistata per poco più di mille dollari in una sconosciuta casa d’aste di New Orleans. Fu veramente Leonardo a dipingere quest'opera da Guinness dei primati? Difficile dirlo. Koefoed si muove tra ambienti dell’arte, della politica e della finanza, intervistando ogni possibile testimone e mostrando come a volte gli interessi diventino cruciali, al punto da spostare in secondo piano la verità. Leonardo. Il capolavoro perduto, un film di Andreas Koefoed. Nelle sale italiane con "La Grande Arte al Cinema"• Tintoretto. L’artista che uccise la pittura. Al cinema dall’11 aprile“La sua opera è immensa, include ogni cosa: dalla natura morta fino a Dio; è un’enorme arca di Noè: io mi sarei trasferito a Venezia soltanto per lui!”. Le parole sono di Paul Cézanne e l’ammirazione è tutta per Tintoretto, il maestro rinascimentale capace di sfidare Michelangelo e Tiziano, di conquistare Rubens e Jackson Pollock. Veneziano come lui è il regista Erminio Perocco, che in questo biopic ne tratteggia un ritratto audace e ambizioso per la casa di produzione Kublai. Visionario e velocissimo nel dipingere, fantasioso nelle invenzioni, impetuoso nel carattere, scaltro - e modernissimo - nelle strategie di marketing, Tintoretto continua a stupire come uomo e come artista anche in questo film tutto made in Laguna, da seguire di calle in calle, di canale in canale, per scoprire nei suoi immortali capolavori il sacrilegio del “primo dei poeti maledetti”. Tintoretto. L'artista che uccise la pittura I Courtesy Kublai FilmLeggi anche:• Il Salvator Mundi, un Leonardo a metà? Nuove ipotesi su un dipinto da Guinness]]></description> | |
<pubDate>Fri, 18 Mar 2022 19:43:26 +0100</pubDate> | |
<category>Arte</category> | |
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<title></title> | |
<link>http://www.arte.it/notizie/roma/la-basilica-sotterranea-di-porta-maggiore-riapre-per-un-weekend-di-archeologia-e-mistero-19217</link> | |
<description><![CDATA[<div><img src="http://www.arte.it/foto/1280x800/d1/127537-16_Basilica_Sotteranea_totale.jpg" /></div>Oscure leggende circondano la Basilica Sotterranea di Porta Maggiore, una testimonianza archeologica unica anche nel ricco panorama della capitale. Oltre a rappresentare il più antico esempio di architettura basilicale giunto fino a noi, infatti, questo prezioso edificio ha conservato nei secoli la struttura originaria, completa di decorazioni pittoriche, stucchi e mosaici. Dopo due anni di chiusura, tre giornate di visite straordinarie permetteranno al pubblico di ammirarlo in una nuova, suggestiva illuminazione e di osservare le novità messe in luce dall’ultima tornata di restauri, prima di un’ulteriore tappa dei lavori necessari alla sua conservazione. La Basilica di Porta Maggiore è “un luogo magico che torna al pubblico dopo un accurato lavoro, un risultato importante per tutte le persone che lo hanno visitato rimanendone colpite e per quanti ancora non lo conoscono”, spiega la Soprintendente Speciale di Roma Daniela Porro: “un luogo unico al mondo per la sua natura sotterranea, resa ancor più affascinante dal mistero sul suo uso. Da oltre un secolo archeologi e storici discutono se si tratti della sede di culti misterici o di un monumento funerario, ma le due funzioni potrebbero aver convissuto”. Basilica ipogea di Porta Maggiore, Parete Nord della navata centrale | Foto: Maurizio Mecci - Azimuth | Courtesy Soprintendenza Speciale di RomaMentre gli studiosi continuano a interrogarsi, da oggi, venerdì 18 marzo, fino a domenica 20 i visitatori potranno finalmente tornare ad ammirare gli affascinanti ambienti ipogei nel corso di visite guidate della durata di 35 minuti destinate a gruppi di 15 persone per volta. “Negli ultimi due anni, segnati dalla pandemia, la Basilica sotterranea per le piccole dimensioni è dovuta rimanere chiusa”, racconta la responsabile del monumento Anna De Santis: “Oltre all’illuminazione, in questo periodo abbiamo realizzato nuovi restauri, studiato approfonditamente il microclima interno e la presenza di microrganismi per una conservazione sempre migliore di questo edificio unico nel suo genere. Lo riapriamo per tre giorni, dando l’opportunità di visitarla prima che ripartano i lavori di restauro della volta della navata sinistra”. Basilica Sotterranea di Porta Maggiore, dettaglio della decorazione del vestibolo I Courtesy Sprintendenza Speciale di RomaL’illuminazione a led tagliata su misura del monumento da De Santis, Carolina De Camillis e Riccardo Fibbi valorizza i volumi architettonici e i chiaroscuri dei bassorilievi a stucco, in dialogo con la luce naturale che penetra dal lucernario del lungo vestibolo, oltre a suggerire il colore azzurro dell’abside, in origine dipinto con un pigmento molto costoso, la fritta egizia che venne asportata già in antico. Realizzato con luci di vari colori e gradazioni, il nuovo impianto restituisce con consumi ridottissimi il tenue chiarore tipico degli ambienti sotterranei. In evidenza sono anche le scoperte emerse durante i recenti lavori sulla parete d’ingresso e sui pilastri della navata sinistra, nonché nella parte inferiore del vestibolo, affrescata su uno sfondo rosso morellone: dipinti di figure umane, animali e paesaggi nello stile raffinato dell’età giulio-claudia. Basilica Sotterranea di Porta Maggiore, lucernario sul vestibolo I Courtesy Sprintendenza Speciale di RomaScoperta il 23 aprile del 1917 in seguito a un cedimento del terreno lungo la ferrovia che attraversa l'area, la Basilica è un capolavoro della tecnica costruttiva romana anche per il suo carattere ipogeo. Ma la sua fama è legata soprattutto all'alone oscuro che la circonda: secondo studiosi come Jerome Carcopino, infatti, fu sede dei culti orfici neopitagorici diffusi a Roma fin dall'alba dell'Impero. Basilica Sotterranea di Porta Maggiore, volta dell'abside I Courtesy Sprintendenza Speciale di RomaFu fatta edificare nel I secolo d.C. probabilmente da Tito Statilio Tauro, homo novus che fu tra i più abili generali e governatori al servizio di Augusto. Tito concepì il monumento come il proprio mausoleo, ma gli eredi ne cambiarono la destinazione: qualche anno dopo ospiterà le riunioni una setta misterica capeggiata da un altro Statilio, Tito Tauro Corvino, e tacciata di stregoneria sotto Claudio. Corvino fu denunciato per empietà e superstizione e coinvolto in un processo diffamatorio che lo condusse al suicidio, poco dopo la morte di suo fratello, giustiziato per una congiura ai danni dell'imperatore. A ispirare tutto questo fu Agrippina, moglie di Claudio e madre di Nerone, probabilmente interessata alla confisca dei terreni degli Statili, avversari troppo influenti della dinastia al potere. Dopo il processo i culti neopitagorici furono messi fuorilegge e l'ipogeo di Porta Maggiore abbandonato.Basilica Sotterranea di Porta Maggiore, abside I Courtesy Sprintendenza Speciale di RomaMa i suoi tesori sono sopravvissuti allo scorrere dei secoli. Un corridoio e un vestibolo ornato da pitture di paesaggi, uccelli e ghirlande di fiori introducono ancora all'ampia aula a tre navate con volte a botte. Qui un prezioso pavimento mosaicato a motivi bianchi e neri fa da preludio alle decorazioni a stucco delle pareti e dei soffitti. Saffo rappresentata nell'atto di lanciarsi dalla rupe di Leucade, il rapimento di Ganimede, il mito di Orfeo ed Euridice, le avventure di Medea e Giasone sono i principali protagonisti del ciclo, che si completa con paesaggi, scene di vita quotidiana e di rituali misterici. Elegantissima e nel complesso ben conservata, nonostante la delicatezza dovuta alla sua struttura ipogea richieda una continua manutenzione delle superfici, la Basilica Sotterranea di Porta Maggiore rappresenta un gioiello in grado di gareggiare con la coeva villa della Farnesina, con il criptoportico del Palatino e con la celebre volta dorata della Domus Aurea. Basilica Sotterranea di Porta Maggiore, dettaglio I Courtesy Sprintendenza Speciale di Roma]]></description> | |
<pubDate>Fri, 18 Mar 2022 17:30:29 +0100</pubDate> | |
<category>Arte</category> | |
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<title>La città dell’ambra</title> | |
<link>http://www.arte.ithttp://aquileia.arte.it/guida-arte/aquileia/notizie//-19215</link> | |
<description><![CDATA[<div><img src="http://www.arte.it/foto/1280x800/2f/96943-MAN_Aquileia_Foglie-di-alloro.jpg" /></div>La grande quantità e varietà di reperti in ambra di età romana rinvenuti ad Aquileia è nota da tempo. Il Museo Archeologico Nazionale di Aquileia ne possiede una straordinaria collezione. Tra gli oggetti di particolare pregio sono senza dubbio gli anelli che hanno la particolarità di essere intagliati in un unico ciottolo di ambra. La collezione di ambre di Aquileia è nata intorno a un nucleo originario di pezzi appartenuti all’industriale austriaco Eugen Ritter von Záhony che fu anche uno dei soci fondatori del museo, e via via si è arricchita di numerosi manufatti nel corso degli anni. Oggi vanta oltre 150 anelli realizzati nel prezioso materiale. Altre collezioni sono oggi conservate presso i Civici Musei di Udine e dei Civici Musei di Storia e Arte di Trieste. La felice posizione di Aquileia, terminale di due delle principali direttrici delle numerose “vie dell’Ambra” che solcavano l’Europa - quella occidentale dal Mare del Nord e l’altra più orientale dal Mare di Danzica sul Mar Baltico - aveva permesso lo sviluppo di un centro di lavorazione della resina, a quel tempo un materiale molto costoso. Aquileia pullulava di botteghe nelle quali si lavorava l’ambra e si realizzava una grande varietà di oggetti destinati a usi diversi. Lo testimoniano i numerosi ciottoli di ambra grezzi e semilavorati che sono stati rinvenuti nelle aree di scavo. Secondo la tradizione mitologica, le lacrime versate dalle ninfee Eliadi, altro non erano che le gocce d’ambra. L’ambra, diffusa nel Mediterraneo fin dal Neolitico, non è una pietra dura, bensì una resina fossile di conifere vissute in epoca preistorica nella Fennoscandia, una regione che corrisponde all’attuale penisola scandinava. Fu durante le operazioni di scavo avviate tra la metà dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento nelle diverse necropoli aquileiesi che rinvennero numerosi oggetti in ambra. Tra gli anelli conservati presso il Museo, uno in particolare presenta una decorazione sul castone ad altissimo rilievo, quasi una raffigurazione a tutto tondo. Si tratta di un monile appartenuto molto probabilmente ad una donna. Le decorazioni del castone potevano essere le più varie, ma in molti casi, come in questo, presentano dei bustini di donna che nella pur estrema miniaturizzazione replicano con estrema cura e dovizia di particolari i caratteri del viso e la pettinatura di moda tra la metà del I sec. a.C. e la metà del II sec. d.C.. Dalla grande raffinatezza con cui sono stati eseguiti i dettagli, si intuisce che l’anello era appartenuto a una donna assai facoltosa. Di raro pregio anche la raffinatissima scatolina in ambra destinata a contenere trucchi e unguenti di bellezza con coperchio scorrevole, conservata presso il museo. Sulla superficie decorata ad altorilievo riconosciamo la testa del dio Dioniso o di una baccante, adorna di tralci di vite e grappoli d’uva. ]]></description> | |
<pubDate>Fri, 18 Mar 2022 14:33:32 +0100</pubDate> | |
<category>Arte</category> | |
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<title>A Firenze la rivoluzione di Donatello, genio del Rinascimento</title> | |
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<description><![CDATA[<div><img src="http://www.arte.it/foto/1280x800/63/127499-4_1.jpg" /></div>Artefice di un concetto totalmente moderno di umanità, Donatello ha conferito alla sua arte una dimensione psicologica che abbraccia, in tutta la loro profondità, le più diverse emozioni, dalla dolcezza alla crudeltà, dalla gioia al dolore più straziante. L’artista prediletto dai Medici, rivoluzionario nelle tecniche, quanto nei materiali e nei generi, sarà, dal 19 marzo al 31 luglio, protagonista assoluto di una grande retrospettiva che riunisce per la prima volta i suoi più importanti capolavori, a confronto con opere di colleghi quali Brunelleschi, Masaccio, Mantegna, Giovanni Bellini, Michelangelo, Raffaello. Cariche di pathos, espressioni di una approfondita ricerca sulla psicologia dei soggetti, le opere di Donatello coinvolgono il pubblico in una riflessione quasi esistenziale. Ad accogliere i 130 capolavori del percorso Donatello, il Rinascimento - sculture, dipinti, disegni in arrivo a Firenze da una sessantina tra i più importanti musei e istituzioni al mondo, dalla National Gallery of Art di Washington al Metropolitan Museum of Art di New York - saranno due sedi: la Fondazione Palazzo Strozzi e i Musei del Bargello. Donatello, Miracolo della mula, 1446-1449 circa, Padova, Basilica di Sant’Antonio. Archivio Fotografico Messaggero di sant’Antonio | Foto: © Nicola BianchiIl percorso, articolato in 14 sezioni, a cura di Francesco Caglioti, professore ordinario di Storia dell’Arte medievale presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, propone un viaggio attraverso la vita e la fortuna del genio, dagli esordi e dal dialogo con Brunelleschi - sviluppato attraverso il confronto tra i due celebri Crocifissi in legno provenienti dalla Basilica di Santa Croce e da quella di Santa Maria Novella - ai luoghi che ne hanno registrato l’attività (Siena, Prato e Padova, oltre a Firenze), a tu per tu con seguaci e altri celebri artisti più giovani come Mantegna e Bellini. Tra le grandi innovazioni messe a punto dal tandem Filippo-Donato nei primi due decenni del Quattrocento si inserisce anche il rilancio della terracotta come materiale autonomo per la creazione di figure di tutti i formati. Non spetta a Donatello l’invenzione degli “spiritelli”, ovvero i putti nudi e alati, dei quali l’antichità classica già pullulava, ma fu lui a porli al centro del proprio immaginario, facendone gli infallibili motori di un’animazione perpetua della scultura. Non mancano le sperimentazioni nei materiali più diversi, le invenzioni plastiche e scultoree, e una sezione speciale dedicata all’influenza di Donatello sugli artisti a lui successivi, tra cui Raffaello, Michelangelo e Bronzino, a testimonianza dell’importanza capitale della sua opera per le vicende dell’arte italiana. Donatello, David vittorioso, 1408-1409; 1416; Firenze, Museo Nazionale del Bargello. Su concessione del Ministero della Cultura | Foto: © Bruno BruchiA Palazzo Strozzi la biografia artistica dello scultore prende forma attraverso cento capolavori quali il David in marmo e l’Amore-Attis del Bargello, gli Spiritelli del Pergamo del Duomo di Prato, il Crocifisso, il Miracolo della mula e l’Imago Pietatis dell’altare maggiore della Basilica di Sant’Antonio a Padova, accanto a numerosi prestiti dal Louvre, dal Metropolitan Museum di New York o dalla National Gallery di Londra. Per la prima volta nella storia si mostreranno al pubblico, fuori dal loro contesto originario, il Convito di Erode, la Fede e la Speranza dal Fonte battesimale di Siena, oltre alle straordinarie porte bronzee della Sagrestia Vecchia di San Lorenzo a Firenze, alcune tra le opere oggetto di grandi restauri realizzati in connessione con la mostra.Gli iconici capolavori di Donatello, dal San Giorgio in marmo al David in bronzo, la Madonna delle nuvole del Museum of Fine Arts di Boston, la Madonna Dudley del Victoria and Albert Museum di Londra e la Madonna della scala di Michelangelo, dalla Fondazione Casa Buonarroti di Firenze, accoglieranno invece gli ospiti nella sede espositiva del Museo Nazionale del Bargello.Giovanni Bellini, Imago Pietatis, 1456 circa, Venezia, Fondazione Musei Civici di Venezia, Museo Correr 2021 © Archivio Fotografico - Fondazione Musei Civici di Venezia “Dedicare una mostra monografica così ampia a Donatello - spiega il curatore Francesco Caglioti - è una sfida unica, della quale siamo davvero grati alla generosità di tanti prestatori. Le mostre a lui intitolate finora sono state fatte perlopiù esponendo copie o limitando la scelta degli originali a pochi pezzi. Donatello, forse il più audace scultore di ogni tempo, è un artista con una fortissima vocazione monumentale, anche quando lavora nei piccoli formati”. Da Firenze, il percorso si allunga al resto della regione, come la fama del suo maestro. La Fondazione Palazzo Strozzi propone infatti la speciale iniziativa Donatello in Toscana, un progetto che ambisce a valorizzare il patrimonio artistico regionale, da Firenze a Siena, da Prato ad Arezzo, da Pontorme a Torrita di Siena, e che, grazie a una mappa tematica fisica e digitale, condurrà gli appassionati alla scoperta di oltre 50 opere di Donatello. Dall’Italia l'artista volerà presto in Europa. Il progetto fiorentino è stato infatti promosso e organizzato dalla Fondazione Palazzo Strozzi e dai Musei del Bargello, in collaborazione con gli Staatliche Museen di Berlino e il Victoria and Albert Museum di Londra che terranno le rispettive mostre sullo scultore. Dal 2 settembre 2022 all’8 gennaio 2023 la Gemäldegalerie di Berlino dedicherà un'esposizione all’artista italiano, mentre nella primavera 2023 Donatello sarà ospite del museo londinese. Leggi anche:• Donatello, il Rinascimento]]></description> | |
<pubDate>Thu, 17 Mar 2022 19:48:16 +0100</pubDate> | |
<category>Arte</category> | |
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<title>Elena Gigli: "Vi racconto Balla al femminile, ritrattista dal vero tra luce e movimento"</title> | |
<link>http://www.arte.it/notizie/italia/elena-gigli-vi-racconto-balla-al-femminile-ritrattista-dal-vero-tra-luce-e-movimento-19211</link> | |
<description><![CDATA[<div><img src="http://www.arte.it/foto/1280x800/4d/126917-4_2_-Giacomo-Balla-Le-quattro-stagioni_-Primavera-1940-olio-su-tavola-e-rete-cm-1107x802_.jpg" /></div>“Elica Balla mi raccontava che per riprodurre l’atmosfera velata di fumo de Le quattro stagioni suo padre chiedeva alle fanciulle di fumare”. È uno dei tanti retroscena che ruotano intorno allo stile e alla personalità di Giacomo Balla e che Elena Gigli, storica dell’arte che custodisce e preserva l’Archivio del pittore, racconta con la straordinaria capacità di farci entrare nella vita e tra le opere del maestro futurista, come fossimo amici da sempre.E adesso che, a partire dal 1°aprile, la Galleria Bottegantica di Milano accoglierà la mostra Balla al femminile. Tra intimismo e ricerca del vero, Gigli, curatrice del percorso che lei stessa ha voluto dedicare a Maurizio Fagiolo dell’Arco, nei vent’anni dalla sua scomparsa, confessa di vedere realizzato il sogno di una vita. Come nasce l’idea di questa mostra? “Lavorando su Balla dalla fine degli anni Ottanta e avendo fatto una tesi solo su ritratti e autoritratti, ho portato sempre avanti questo aspetto più figurativo rispetto a quello, di solito più noto, di Balla futurista. Mi sono sempre appassionata a questa problematica. Balla è un artista reale, concreto, e rappresenta sempre quello che lui vede. In casa osserva il suo volto e quello delle donne della sua vita che ha sempre amato. Un artista come Giacomo Balla, quando si pone davanti a una tela, a un pastello, a una carta, vuole rappresentare qualcosa che sente davvero suo”. Giacomo Balla, Timidezza, 1932, Olio su tela, 55 x 75 cmChi sono le donne di Balla? “In primo luogo la mamma, poi Elisa, che diventerà sua moglie nel 1904, le due figlie, Elica e Luce, e ancora le amiche, compagne di giochi delle figlie che frequentavano la casa. Balla non fa ricorso a modelle a pagamento. Prima di tutto perché non ha i soldi e poi perché ha già a disposizione le sue donne. Anche quando, negli anni Trenta, ritrae la Figlia del sole lo fa in déshabillé, con le spalle nude. La ragazza, di ritorno da Terracina, con la pelle abbronzata, indossa ancora un vestitino da spiaggia di un bianco avorio con sopra un giacchino giallo oro. Non si riesce a capire se Elica sia in procinto di indossare il giacchino o se lo stia togliendo dalle spalle. Sullo sfondo di questo ritratto figurativo l’artista posiziona l’Arazzo futurista degli anni Trenta. Trent’anni prima aveva dipinto la moglie completamente nuda. In Nudo controluce l'artista pone un velo sulle natiche della donna, che accoglie tutto il riflesso della luce. Tra le figure femminili che Balla rappresenta più di una volta ci sono anche Laura e Francesca Marcucci, le cugine di Elica e Luce. In Fanciulla-fiamma, opera presentata alla Quadriennale di Roma del 1931, e comperata da Giovanni Agnelli, Balla immortala la figlia Elica avvolta di rosso”. La mostra pone al centro le varie declinazioni della femminilità, interpretate dall’artista in due periodi apparentemente lontani della sua produzione, quello divisionista di inizio Novecento e quella figurativo-realista degli anni Trenta e Quaranta. Come cambia la rappresentazione della donna di Balla in questi due momenti? “Non cambia per niente perché in Balla ci sono sempre due fattori costanti fondamentali: la luce e il movimento. Anche in Quiete operosa (1989) l'artista va a raffigurare l’allora fidanzata Elisa seduta nella sua stanza con gli elementi della sua quotidianità, il rocchetto, la scatola per cucire. In questo monocromo bianco e nero è tutta racchiusa la psicologia intimistica di una donna che volge alla sua femminilità e al suo rapporto con se stessa, di donna e futura mamma”. Giacomo Balla, La famiglia Stiavelli, 1905, Olio su tela, 139 x 73 cmQuali altre opere vedremo in mostra? “Le opere in mostra saranno una dozzina. Ci sarà La famiglia Stiavelli del 1905, dalla collezione privata dagli eredi di Giacinto Stiavelli. Qui Balla realizza quasi una fotografia adoperando la sua tecnica divisionista, evidente se si guardano le pieghe del vestito rosa, punteggiato di verde e azzurro, della signora Stiavelli, anche lei intenta a dipingere. In questa scena intima, alle spalle della donna notiamo la bambina seduta con in mano dei giochi. Giacinto Stiavelli non ha le sembianze di un famoso scrittore, ma piuttosto ha tutte le caratteristiche di un papà affettuoso. Tutto in questa tela è avvolto in una psicologia luminosa che da lì a poco avrebbe dato vita alle opere divisioniste dei “viventi”. Non siamo infatti lontani dalla rappresentazione della Pazza”.Balla ha la capacità di creare una rappresentazione quotidiana intimistica a renderla universale per tutti coloro che potranno ammirare la sua arte nelle grandi tele e nei piccoli pastelli. Accade anche in un’altra opera in mostra, Le quattro stagioni... “Qui vediamo la rappresentazione di quattro figure (in realtà la stessa donna, Giuliana Canuzzi) che simboleggiano le quattro stagioni, con attributi diversi l’una dall’altra, a partire dall’Inverno, la prima che il pittore dipinge nel 1939. Siamo nel pieno scoppio della Seconda guerra mondiale. Balla raffigura Giuliana, la figlia dell’amico che abita al piano di sotto, nell’appartamento di via Oslavia, alla quale fa indossare una pelliccia. La vediamo mentre appoggia il braccio sul fianco destro, mentre la pelliccia le fa quasi da cappa di protezione. Il tutto è circondato da una luce particolare che si sviluppa all’interno del salotto. Elica Balla mi raccontava che il padre, proprio al fine di creare questa atmosfera velata, chiedeva alle fanciulle di fumare, oltre a porre dei teli dietro per creare una situazione molto particolare. In Estate, la stessa donna viene invece raffigurata di rosso, avvolta da un abito scollato che mostra la pelle luminosa, quasi abbronzata”. Giacomo Balla, Le quattro stagioni: Inverno, 1939, Olio su tavola e rete, 80 x 110 cmAvvolta in una pelliccia è anche la protagonista di Baglior fuggente, altra opera esposta a Milano. Chi era “Mignolina”? “In quest’opera Balla rappresenta un’altra amica di famiglia, avvolta in una pelliccia, montando il tutto sul gioco del viola. “Mignolina” è una signora che il pittore conosce alla Quadriennale del 1931. Le sorelle Balla raccontavano che era una donna “graziosa, gentile, minuta, la cui eleganza non era data da ricche stoffe e lussuosi accessori, ma dal suo modo di portare questo cappellino messo con garbo”. Veniva chiamata “mignolina”. E poi diventa un’amica delle figlie di Balla. Il pittore la rappresenta più di una volta, ad esempio in Dolce richiamo, opera al momento dispersa, o in Sigarette che ardono, altro lavoro nel quale l’artista usa l’escamotage del fumo per creare un’atmosfera luminosa e al tempo stesso velata”.Giacomo Balla, Le quattro stagioni: Estate, 1940, Olio su tavola e rete, 80.3 x 111 cm Potremmo dire che, attraverso i ritratti di Balla, sia evidente come la luce e il movimento rappresentino il filo conduttore di tutta la sua arte, gli unici in cui il pittore abbia mantenuto una certa coerenza, nonostante i cambiamenti del suo stile... “Sì, questa coerenza è data dalla luce e dal movimento. Nelle oltre 4mila opere che ho schedato, il movimento è sempre presente, come anche la luminosità che è solo di Giacomo Balla. Profumo di rose del 1940, altra opera in mostra, era stata esposta nella Galleria San Marco nel 1942 e poi nell’ambito di una mostra organizzata dalle signorine Balla nel 1980, dedicata esclusivamente alla rappresentazione di nature morte, “nature vive” come le chiamava Balla. Lui prende le rose, le pone nel vaso di fiori, le poggia sul tavolo in ottone, tuttora presente in Casa Balla, e lo avvolge in una luminosità generata da veli, allestendo una situazione di movimenti e luce. Siamo nel 1940, in pieno conflitto mondiale”. Nel manifesto futurista Marinetti guardava alla donna come “unico ideale, divino serbatoio d’amore, la donna veleno, la donna ninnolo tragico, la donna fragile, ossessionante e fatale...” Che cosa rappresenta la donna per Giacomo Balla? “Per Balla la donna è la fonte dei suoi quadri, colei che gli offre la possibilità di rappresentare la luce. Quando il pittore ritrae la moglie nuda - ci sono dei pastelli bellissimi di Elisa seduta sul divano, avvolta in un gioco di pastellate filiformi - non gli importa la figura in quanto donna, ma in quanto fonte di luce che sprigiona luminosità”. Giacomo Balla, Profumo di rose, 1940, Olio su tavola, 60 x 73 cmDa dove provengono le opere in mostra? “Provengono da collezioni private. Il Balla figurativo, intimistico è difficile da trovare nei musei. Il motivo è ancora tutto da studiare. Quasi tutte le cornici delle opere in mostra sono originali, inventate, ideate e dipinte da Giacomo Balla".Prossime mostre in cantiere? “L’altro mio sogno nel cassetto sarebbe quello di realizzare una mostra su Giacomo Balla a Roma. Attraverso i luoghi della città, le persone, i committenti che ha incontrato e che lo hanno aiutato moltissimo, si potrebbe ripercorrere tutta la produzione artistica di questo pittore nato a Torino, ma romano dal 1895. La mostra Balla al femminile | Tra intimismo e ricerca del vero sarà visitabile, con ingresso libero, alla Galleria Bottegantica dal 6 - 30 APRILE 2022 (con chiusura nei giorni 16-17-18 aprile) dal martedì al sabato dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 19. Una “preview” speciale con una selezione di opere dalla mostra la si potrà già avere al MIART dal 31 marzo al 3 aprile dove la Galleria sarà presente nella sezione Decades allo stand A100.Giacomo Balla, Le quattro stagioni: Autunno, 1940, Olio su tavola e rete, 80.2 x 110.7 cm Leggi anche:• L'universo femminile di Giacomo Balla in mostra a Milano• Balla al femminile. Tra intimismo e ricerca del vero• Elena Gigli racconta Giacomo Balla, in attesa dell'anniversario]]></description> | |
<pubDate>Thu, 17 Mar 2022 16:25:56 +0100</pubDate> | |
<category>Arte</category> | |
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<title>Augusto cittadino illustre: cambia il volto di Aquileia</title> | |
<link>http://www.arte.ithttp://aquileia.arte.it/guida-arte/aquileia/notizie//-19209</link> | |
<description><![CDATA[<div><img src="http://www.arte.it/foto/1280x800/42/119193-AQUILEIA_MUSEO_ARCHEOLOGICO_PH_G_BARONCHELLI.jpg" /></div>Intorno alla fine del I secolo a.C., Augusto decide di far base ad Aquileia. Era un luogo strategico per seguire da vicino le azioni militari mirate a tenere sotto controllo la situazione turbolenta provocata dalle popolazioni degli Illiri, dei Pannoni, degli Iapodi e dei pirati Liburni. A quel tempo la preoccupazione numero uno dell’Imperatore era di mettere in sicurezza i territori nordorientali della penisola. Faceva parte dello stesso piano anche la decisione di fondare nella zona dei nuovi centri come Tricesimum, Forum Iulii (Cividale), Iulium Carnicum (Zuglio). Aquileia godeva di una posizione chiave, ma evidentemente aveva anche le caratteristiche adatte ad accogliere la famiglia imperiale. Per questo fu scelta come base da Augusto che continuò per tutto il periodo del suo soggiorno a gestire le questioni pubbliche e diplomatiche. Sono gli anni in cui Aquileia diventa quindi cuore pulsante della vita dell’Impero. Nella città giungono in visita personaggi importanti. Come ad esempio Erode il Grande. Aveva affrontato un lungo viaggio per poter incontrare Augusto. Il re di Giudea era tormentato dal sospetto di una congiura dei suoi figli contro di lui e desiderava chiedere ad Augusto un parere, forse un aiuto. In quello stesso periodo, fa visita ad Aquileia anche il futuro imperatore Tiberio con la sua nuova moglie, Giulia.Le colonne del Foro, Area Archeologica di Aquileia | Foto: © Gianluca Baronchelli Indubbiamente l’arrivo di Augusto ad Aquileia aveva messo in moto una serie di interventi di rinnovo della città perché fosse all’altezza del nuovo ruolo. Gli interventi si concentrarono nella zona del Foro che ospitava le strutture preposte alle attività politico-amministrative. Di quel tempo conosciamo il nome della principale famiglia di costruttori che seguì gran parte degli interventi edilizi attorno al Foro nel primo periodo imperiale: gli Aratrii. Erano originari di Aquino ed erano noti produttori di laterizi fin dal periodo tardo repubblicano. Come è facile intuire, la presenza della famiglia imperiale attirò ad Aquileia le botteghe artigiane più qualificate (scultura, gemme, toreutica, pittura), all’altezza delle esigenze di una committenza d’eccezione. Allora il cuore della vita pubblica e amministrativa della città era la Basilica, posta a chiusura del lato meridionale della piazza del Foro, delimitata da lunghi portici. La loro decorazione con teste di Giove Ammone e Medusa, applicate su blocchi sporgenti tra lastre di balaustra con ghirlande tenute da aquile e amorini, rimanda ai decori dei portici del Foro di Roma.Ciclo di Giove Ammone e Medusa presso il Foro di Aquileia | Foto: © Gianluca Baronchelli Purtroppo della basilica augustea di Aquileia non si conserva alcuna testimonianza. L’edificio fu ricostruito verso la fine del II secolo d.C., quando venne rifatto anche il portico orientale del Foro. Una delle forme più significative della propaganda imperiale era costituita dai cicli statuari esposti in edifici del culto imperiale o all’interno di strutture pubbliche, specialmente nelle basiliche. Ad Aquileia, delle sculture raffiguranti i membri della famiglia imperiale sono sopravvissute una statua molto grande, alta più di 2 metri, che raffigurava Augusto capite velato, una statua femminile, forse Livia, una testa di Tiberio e una di Claudio. Era probabilmente legato al primo imperatore e probabilmente anche al suo successore, l’importante complesso edilizio che è stato portato alla luce negli anni ’20 del secolo corso nell’area meridionale di Aquileia e che va sotto il nome di Piccole Terme Urbane. Secondo alcuni studiosi, e grazie ai ritrovamenti di materiali di alto pregio, si tratterebbe della dimora della famiglia di Augusto. In particolare sono state rinvenute alcune terrecotte architettoniche ricavate da matrici usate in contesti di proprietà della famiglia imperiale, sia sul Palatino, sia nella villa di Livia a Prima Porta.Museo Archeologico di Aquileia | Courtesy of Fondazione Aquileia]]></description> | |
<pubDate>Thu, 17 Mar 2022 12:47:56 +0100</pubDate> | |
<category>Arte</category> | |
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<title></title> | |
<link>http://www.arte.it/notizie/italia/da-torino-a-napoli-inaugurano-a-maggio-i-due-nuovi-musei-di-intesa-sanpaolo-19205</link> | |
<description><![CDATA[<div><img src="http://www.arte.it/foto/1280x800/61/127419-GdI_Torino_02_aMDL_Filippo_Bolognese.jpg" /></div>Grandi manovre nelle sedi espositive di Intesa Sanpaolo: a maggio due nuovi musei vedranno la luce a Torino e a Napoli, mentre è già in cantiere l’ampliamento delle Gallerie d’Italia a Milano e a Vicenza. Il programma è di raddoppiare gli spazi entro il 2025, raggiungendo i 30 mila metri quadri sul territorio nazionale. Intanto da Nord a Sud gli storici teatri della finanza si convertono all’arte con la complicità dell’architetto Michele de Lucchi e del suo studio AMDL Circle, incaricati di trasformare il torinese Palazzo Turinetti e il napoletano Palazzo Piacentini in luoghi di cultura aperti verso la città, pronti ad accogliere mostre temporanee, attività per le scuole, iniziative di ricerca e inclusione sociale. E, naturalmente, a rendere accessibili al pubblico le cospicue collezioni della Banca, composte da oltre 35 mila opere d’arte. Il primo progetto a essere inaugurato sarà quello torinese, che ospiterà nel centralissimo Palazzo Turinetti di Piazza San Carlo una ricca collezione dedicata ai linguaggi della fotografia e della video arte, sensibili specchi del nostro tempo. Da martedì 17 maggio 10 mila metri quadrati di spazi espositivi distribuiti su cinque piani daranno il benvenuto ai visitatori, svelando l’immenso Archivio Publifoto Intesa Sanpaolo, che conserva ben sette milioni di scatti realizzati tra gli anni Trenta e i Novanta del XX secolo da una delle principali agenzie di fotogiornalismo italiane. “La scelta di dedicare questo museo alla fotografia”, ha spiegato Michele Coppola, executive director Arte Cultura e Beni Storici di Intesa Sanpaolo e direttore delle Gallerie d’Italia di Torino, “è nata da un’idea del presidente emerito Giovanni Battista Bazoli: ciascuna delle Gallerie d’Italia deve avere un proprio indirizzo e una propria identità, in un’ottica di complementarietà rispetto alle altre. A Torino la fotografia sarà un modo per affrontare i temi più attuali, dall’ambiente all’inclusione sociale”. Gallerie d'Italia, Palazzo Turinetti, Torino. Sala Voltata I Courtesy Intesa SanpaoloMa in Piazza San Carlo c'è spazio anche per il passato: insieme alla fotografia e alla video arte scopriremo dipinti, sculture, arazzi e arredi preziosi creati tra il Trecento e il Settecento e appartenenti alle raccolte dell’Istituto, che dialogheranno con le decorazioni tardo barocche del palazzo. Tra queste spiccano le nove grandi tele seicentesche provenienti dall’antico Oratorio della Compagnia di San Paolo, oggi distrutto, che occupano un posto d’onore nella storia e nell’identità della Banca. Un imponente scalone pensato come un luogo di incontro e di socialità, grandi vetrate e pannelli touchscreen, ma soprattutto una gigantesca sala multimediale immersiva dotata di 17 proiettori 4k, ricavata dai vecchi caveau dell’Istituto, caratterizzano il progetto di De Lucchi, che si sviluppa tra il piano nobile del palazzo, tre livelli ipogei e un chiostro all’aperto che ospiterà una libreria, un caffè e un ristorante. La storica Sala dei Trecento, dove un tempo si svolgevano le assemblee della Banca, si trasformerà invece in uno spazio per le mostre temporanee. La prima inaugurerà a maggio contestualmente all’apertura del museo, con una commissione originale di Intesa Sanpaolo affidata al fotografo Paolo Pellegrin e curata da Walter Guadagnini con il contributo di Mario Calabresi. La fragile meraviglia. Un viaggio nella natura che cambia è un reportage sul tema del cambiamento climatico realizzato tra Italia, Islanda, Namibia e Costa Rica, dove il fotografo ha avuto modo di sviluppare una lettura personale e aggiornata dei delicati rapporti tra uomo e ambiente. Dalla guerra alla Luna. 1945-1969, a cura di Giovanna Calvenzi e Aldo Grasso, racconterà invece la ricostruzione del dopoguerra e il miracolo economico, fino alla conquista dello Spazio, attraverso le immagini conservate nell’Archivio Publifoto Intesa Sanpaolo.Gallerie d'Italia, Palazzo Turinetti, Torino. Sala dei Trecento I Courtesy Intesa SanpaoloA Napoli le Gallerie d’Italia raddoppiano con la nuova sede di Palazzo Piacentini,che si aggiunge a Palazzo Zevallos Stigliano portando gli spazi espositivi di Intesa Sanpaolo in città a ben 10 mila metri quadrati. Dal 21 maggio l’edificio dell’ex Banco di Napoli in via Toledo disegnato negli anni Quaranta dal celebre architetto Marcello Piacentini offrirà ai visitatori un viaggio nell’arte di notevole ricchezza e varietà, spaziando dalla Magna Grecia al contemporaneo. Cuore del percorso saranno dipinti e sculture datati tra il XVII e il XX secolo, a partire dal capolavoro assoluto delle collezioni partenopee dell’Istituto, il Martirio di Sant’Orsola di Caravaggio, l’ultima opera che il maestro dipinse poche settimane prima di trovare la morte. Attorno alla tela del Merisi, nell’itinerario curato da Fernando Mazzocca troveremo le preziose creazioni di Artemisia Gentileschi, Luca Giordano, Gaspar van Wittel, Anton Smink Pitloo, Giacinto Gigante, Domenico Morelli e un importante nucleo di disegni e sculture del napoletano Vincenzo Gemito. Al secondo piano di Palazzo Piacentini saremo invitati a immergerci in un passato remoto e affascinante o, attraverso un’infilata di sale affacciate su via Toledo, tra le onde di un’arte inquieta e vitale che dal dopoguerra giunge fino al contemporaneo. Splendide ceramiche attiche e magno-greche caratterizzano la storica Collezione Caputi, esposta al pubblico per la prima volta nella sua interezza grazie all’allestimento di Fabrizio Paolucci, mentre opere di Lucio Fontana, Alberto Burri, Piero Manzoni, Enrico Castellani, Mario Schifano, Giulio Paolini, Alighiero Boetti, Michelangelo Pistoletto, Giosetta Fioroni, Carol Rama, Afro, Emilio Vedova, Gerhard Richter, Jannis Kounellis, Sol LeWitt sfoderano il lato contemporaneo delle collezioni della Banca in un percorso curato da Luca Massimo Barbero. Gallerie d'Italia, Palazzo Piacentini, Napoli. Passerella I Courtesy Intesa SanpaoloRispettoso del valore storico di Palazzo Piacentini ma pienamente attuale è anche il rinnovamento architettonico pensato da Michele De Lucchi, che dota l’edificio di tre aule didattiche d’avanguardia, di una biblioteca per la consultazione dei volumi del patrimonio librario di Intesa Sanpaolo e di un grande salone dedicato alle mostre temporanee. Il monumentale atrio di ingresso, inoltre, collega la nuova sede delle Gallerie d’Italia con lo spazio urbano, anche grazie a un bookshop e a un bistrot-caffetteria accessibili liberamente da via Toledo. Protagonista del primo progetto espositivo del nuovo museo sarà la diciannovesima edizione di Restituzioni, il programma di salvaguardia e valorizzazione del patrimonio artistico nazionale che Intesa Sanpaolo conduce da oltre trent’anni: presto in mostra le opere restaurate nell’ultimo triennio con il contributo dell’Istituto, appartenenti a siti archeologici, musei e luoghi di culto di tutta Italia. Gallerie d'Italia, Palazzo Piacentini, Napoli. Rendering ristorante I Courtesy Intesa SanpaoloLeggi anche:• Torino - Ecco come sarà il nuovo museo delle Gallerie d'Italia]]></description> | |
<pubDate>Wed, 16 Mar 2022 16:31:07 +0100</pubDate> | |
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<title>La <i>Morte di Adone</i> sotto una nuova luce. L'affresco del Domenichino torna a Palazzo Farnese</title> | |
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<description><![CDATA[<div><img src="http://www.arte.it/foto/1280x800/2d/127383-_ELW8402.jpg" /></div>Scesa con drammatico slancio dal cocchio dorato trainato da due cigni, le mani disperate tese verso il cielo, Venere raggiunge l’amato Adone che un cinghiale ha ferito a morte. Cupido, due putti alati e il fedele cane del giovane morente assistono alla scena, incastonata dal pennello del Domenichino all’interno di un paesaggio collinare, tra i ciuffi d’erba e, in primo piano, l’anemone generato dal sangue della vittima. Da ieri l’affresco staccato raffigurante la Morte di Adone è tornato a brillare a Palazzo Farnese, nella Sala delle Firme nell’appartamento dell’Ambasciatore di Francia, dopo aver recuperato l’originaria cromia grazie all’intervento a cura dell’Istituto Centrale per il Restauro (ICR), interamente finanziato, progettato ed eseguito dall’ICR, d’intesa con la Soprintendenza Speciale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Roma.Domenichino (Domenico Zampieri), Morte di Adone, Particolare dopo il restauro, affresco staccato, Roma, Palazzo Farnese | Foto: © Edoardo Loliva (2022) | Courtesy ICR-Istituto Centrale per il Restauro “In questo periodo di guerra in Ucraina in cui si distrugge tanto oggi vediamo l’importanza della conservazione del patrimonio e della civiltà” ha sottolineato l’ambasciatore Christian Masset accogliendo nuovamente l’opera che, insieme agli altri due affreschi di questo ciclo, “rendono Palazzo Farnese quasi una pagina di storia dell’arte della pittura del Seicento bolognese’’, come ha ribadito la soprintendente Daniela Porro. Dal Casino della Morte a Palazzo Farnese In effetti l’opera è parte di un ciclo di tre affreschi realizzati dall’artista bolognese tra il 1603 e il 1604 nel cosiddetto Casino della Morte, un piccolo edificio fatto costruire dal cardinale Odoardo Farnese quale intima dépendance del monumentale palazzo di famiglia. Adagiato sulla sponda del Tevere, e così denominato per la sua vicinanza alla chiesa di Santa Maria dell’Orazione e Morte, il Casino era accessibile direttamente dal palazzo principale tramite l’arco che attraversa ancora oggi via Giulia. A decorarlo fu l’équipe di artisti diretta da Annibale Carracci, già impegnata nella realizzazione di numerose imprese decorative per la famiglia Farnese, prima fra tutte la celebre galleria del palazzo. È grazie ad Annibale che il giovane Domenichino riceve l’incarico di realizzare i tre affreschi per le volte delle due sale del piano terreno e della loggia che si apriva sul giardino.Domenichino (Domenico Zampieri), Morte di Adone, Particolare dopo il restauro, affresco staccato, Roma, Palazzo Farnese | Foto: © Edoardo Loliva (2022) | Courtesy ICR-Istituto Centrale per il RestauroLa Morte di Adone faceva capolino proprio da qui, assieme agli altri soggetti narrati da Ovidio nelle Metamorfosi, Narciso alla fonte e Apollo e Giacinto. Gli affreschi del fervente fautore del classicismo rimasero ad abbellire il Casino della Morte fino al 1817, quando, su iniziativa del marchese Fuscaldo, erede delle proprietà Farnese, questi capolavori vennero distaccati da Pietro Palmaroli, uno dei più importanti restauratori europei del primo Ottocento, e, complice anche il loro cattivo stato di conservazione, trasferiti a Palazzo Farnese, in una sala adiacente alla Galleria dei Carracci. Palmaroli aveva elaborato una variante metodologica rispetto alle consuete tecniche dello stacco a massello o dello strappo, che consentiva di rimuovere gli affreschi conservando un sottile strato dell’intonaco originale, facendo sì che il dipinto mantenesse le caratteristiche materiche proprie dell’affresco. Oggi i tre capolavori si trovano riuniti nella Sala delle Firme nell’appartamento dell’Ambasciatore. L’intervento appena concluso sulla Morte di Adone segue quello, sempre a cura dell’Istituto Centrale per il Restauro, avvenuto nel 2018 sul Narciso alla Fonte. Domenichino (Domenico Zampieri), Morte di Adone, Particolare dopo il restauro, affresco staccato, Roma, Palazzo Farnese | Foto: © Edoardo Loliva (2022) | Courtesy ICR-Istituto Centrale per il RestauroL'affresco ritrova i suoi antichi colori Il restauro relativo alla Morte di Adone è stato eseguito nella ex chiesa di Santa Marta al Collegio Romano, adibita a laboratorio ICR, anche per allievi della Scuola dell’Istituto. Lo strato preparatorio originale dell’affresco è risultato composto da una malta di calce e pozzolana e la pellicola pittorica ha presentato una tavolozza ampia, con l’impiego di pigmenti preziosi.Al suo arrivo in santa Marta, l’opera mostrava alcune deformazioni permanenti, gravemente fratturate. In corrispondenza di queste zone, oggetto di precedenti interventi di restauro, i ritocchi si presentavano spessi, alterati e debordanti sulla pellicola pittorica originale. Un ampio rifacimento a tempera interessava parte della figura di Venere, mentre l’intera superficie dipinta era offuscata da estese ridipinture e fissativi imbruniti. Il restauro, al quale ha preso parte un gruppo di tecnici che ha operato in modo interdisciplinare, si è quindi incentrato sul recupero dell’originaria cromia del dipinto murale, ristabilendone i corretti valori tonali attraverso metodiche selettive di pulitura.Domenichino (Domenico Zampieri), Morte di Adone, Particolare dopo il restauro, affresco staccato, Roma, Palazzo Farnese | Foto: © Edoardo Loliva (2022) | Courtesy ICR-Istituto Centrale per il RestauroL'opera del Domenichino eccezionalmente visibile al pubblicoL'affresco appena restaurato sarà visibile al pubblico a Palazzo Farnese in occasione delle celebrazioni del 14 luglio e delle giornate del patrimonio a settembre.Il Salone delle Firme (dove oggi si trova l’affresco) non rientra negli spazi aperti al pubblico durante le visite guidate organizzate a Palazzo Farnese nel resto dell’anno. Leggi anche:• Le Korai di Medma stampate in 3D "rivivono" all' École française de Rome]]></description> | |
<pubDate>Tue, 15 Mar 2022 16:46:30 +0100</pubDate> | |
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